La porta e il pastore
7 Maggio - IV Domenica di Pasqua
O Dio, infondi in noi la sapienza dello Spirito,
perché sappiamo riconoscere la voce di Cristo, buon pastore… (dalla colletta)
La resurrezione del Signore ha messo nel cuore la speranza, ha aperto spiragli, ha rinvigorito l’entusiasmo. Tutto ciò è confermato dalla pagina evangelica di questa domenica, nella quale Gesù, usando l’immagine del gregge, costruisce il discorso sul rapporto che c’è tra il pastore e le sue pecore. Un rapporto che si nutre dell’ascolto, della modulazione della voce del pastore che giunge alle sue pecore che le fa sentire al sicuro: “Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori” (Gv 10, 3). Un rapporto tutto particolare…
Quando al mattino il pastore raduna le sue pecore chiamandole per nome esse escono fuori dal recinto e lo seguono. Si fidano di lui, si sentono al sicuro, riconoscono la sua voce familiare ed esse rifiutano la voce di altri. “Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono” (Gv 10, 6). Per questo Gesù continua il suo discorso definendosi “porta” delle pecore, attraverso la quale esse passano, entrano ed escono senza temere nulla e nessuno.
Il pastore così identificato e riconosciuto non è colui che si prende cura delle pecore come massa indistinta, indefinita; la sua conoscenza è personale, esclusiva, confidenziale. Al tempo di Gesù il pastore non lasciava mai il suo gregge, neanche di notte, vivevano in una condivisione piena. Da qui scaturisce la conoscenza reciproca che permette alle pecore di riconoscere la voce familiare del pastore, rifiutando tutti coloro che tentano di mettere le mani sul gregge per sfruttarlo e disperderlo.
Al personaggio positivo del pastore Gesù contrappone, infatti, tre falsi pastori: il ladro, l’estraneo, il mercenario che vengono “per rubare, uccidere e distruggere” (Gv 10, 10). Sono l’antitesi del pastore che per il suo gregge e per ciascuna delle sue pecore è disposto a rimetterci la vita. È questa la “scandalosa” prova d’amore che Dio ha manifestato in Gesù.
Davanti a Dio ognuno possiede una propria identità unica ed irripetibile. E grazie a questa unicità ognuno si sente conosciuto, amato e chiamato per nome. Non siamo uno tra tanti, siamo unici, anche nelle nostre miserie, amati interamente, senza scartare nulla, se non il male ed il peccato che ci attraversa e per il quale il Signore non ha esitato a dare la vita.
Sono molteplici i tentativi che pastori abusivi mettono in atto per sottrarre le pecore al pastore vero. Lo sperimentiamo ogni giorno… eppure custodiamo nella mente e nel cuore il suono familiare della voce del Maestro che è “venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).
Buona e santa domenica!
+ P. Antonio, Vescovo
Vivere con responsabilità la cittadinanza
La pace e lo spirito
23 Aprile - II Domenica di Pasqua
"Accosta la tua mano, tocca le cicatrici dei chiodi e non essere incredulo, ma credente” (cf. Gv 20,27).
La morte di Gesù aveva gettato nel panico gli apostoli e tutti coloro che si erano entusiasmati del suo annuncio. Dopo la crocifissione non restava più nulla, tutto si era concluso in modo tragico ed irreversibile, l’entusiasmo e l’ardore non avevano più ragione di esistere. Non restava che tornare alle occupazioni di un tempo…
Desolazione e paura invade l’esistenza dei discepoli di Gesù, che per paura sono chiusi all’interno del luogo in cui il Maestro Gesù aveva fatto il dono di tutto se stesso nell’Eucarestia, il timore di subire la stessa sorte aveva irrigidito la loro già debole fede, non conveniva a nessuno rischiare. Unica consolazione era il ricordo di quei tre anni passati in sua compagnia, un ricordo che, invece di proiettarli nell’esaltante esperienza dell’annuncio, li aveva rinchiusi nella paura. Si erano limitati a ricordare una persone che ormai non c’era più. Quanta amarezza nel cuore di questi uomini, quanti rimorsi per aver abbandonato Gesù nel momento più delicato della sua vita!
La croce, che per Gesù era il luogo della donazione totale, per loro era il luogo del non-senso. Non avevano compreso quel passaggio “obbligato”, la croce per loro era stato un “incidente di percorso”. In questo desolante contesto Gesù risorto visita la sua comunità. Già la sera di Pasqua egli viene a squarciare il velo di tristezza che deprime e scoraggia i suoi discepoli.
Egli irrompe in questo luogo chiuso, entra nel cuore e nell’esistenza impaurita di questi uomini deboli, spalanca gli orizzonti, una luce inedita illumina le oscurità del dubbio. Il risorto si presenta loro con i segni dei chiodi, con le ferite ormai trasfigurate dell’amore donato. Nessun timore ha Dio di mostrare le ferite che ormai segneranno per sempre le sue membra. Non ha timore di nasconderle, anzi le mostra come segno concreto di una donazione senza misura. La pace e il dono dello Spirito sono i doni del risorto, con i quali inizia il tempo della testimonianza.
Per troppo tempo abbiamo definito Tommaso come l’apostolo dalla testa dura, l’incredulità fatta persona. Non si fida delle parole dei suoi amici, troppo incoerenti per fidarsi di loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò» (Gv 20, 25). Eppure Tommaso è stato l’unico apostolo a mostrare un grande amore nei confronti di Gesù invitando gli altri a seguirlo quando Gesù aveva deciso di andare a salvare l’amico Lazzaro. Gesù rischiava grosso e Tommaso dice: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Gv 11, 16).
Ritorna Gesù e mostra a Tommaso le sue ferite, invitandolo ad infilarci il dito. Gesù si abbassa sulla sofferenza di questo suo apostolo, sulla sua crisi di fede per risollevarlo e per donargli la certezza che egli è risorto e vive per sempre.
Buona e santa domenica!
+ P. Antonio, Vescovo