La recente crisi pandemica ha enormemente accelerato l'uso del digitale e del web in tutti gli ambiti. La Chiesa ha sfruttato tale potenziale con molteplici iniziative, che nella fase del lockdown hanno permesso di mantenere lo stretto legame con i fedeli, non essendo permessa la presenza, e successivamente hanno affiancato, integrato e arricchito le attività tradizionali.
La lunga fase che abbiamo attraversato ci impone un'attenta riflessione per valutare i vantaggi e le nuove vie che si sono aperte e, nello stesso tempo, considerare meglio i rischi e i limiti che gli strumenti digitali impongono.
Dai dati presentati nel report annuale Digital 2021 , realizzato da We Are Social, emerge che a gennaio 2021 in Italia, su una popolazione residente di 60,41 milioni di abitanti, erano 50,54 milioni le persone online ogni giorno, 41 milioni quelle attive sui canali social e 77,71 milioni le connessioni mobili attive. Per quanto riguarda invece il tempo medio di connessione giornaliera, coerentemente con l'andamento mondiale, gli italiani spendono circa 6 ore e 22 minuti online, accedendo da qualsiasi dispositivo. Numeri che testimoniano una capillare diffusione di dispositivi e di connessioni, ed anche il cospicuo tempo che ogni giorno viene speso nell'ambiente digitale.
La rete è fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili. È innegabile come il digitale sia una risorsa e una po-tenzialità per le comunicazioni, per la cura delle relazioni e per l'evangelizzazione. Nel nuovo Direttorio per la catechesi, leggiamo: «Le forme della comunicazione digitale offrono maggiori possibilità, in quanto sono aperte all'interazione. Perciò è necessario, oltre alla conoscenza tecnologica, imparare modalità comunicative efficaci, insieme a garantire una presenza nella rete che testimoni i valori evangelici» .
Una presenza di cui il nostro Vescovo ci ha dato le coordinate: «Entriamo nel mondo dei social, senza forzature giovanili-stiche-adolescenziali, ma con il profilo di educatori e di uomini a cui la fede conferisce un supplemento di responsabilità, di visione e di sostegno». Nella stessa ottica Papa Francesco, nel Messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali di quest'anno, ha invitato «a una maggiore capacità di discernimento e a un più maturo senso di responsabilità, sia quando si diffondono sia quando si ricevono contenuti. Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole» .
Le criticità e le problematiche non mancano e coinvolgono noi stessi e gli altri, in diversi ambiti, anche per quanto riguarda il trattamento dei dati, la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza, e la gestione di eventuali conflitti. Ci troviamo davanti ad un nuovo contesto, dove sembra che tutto sia possibile, dove il potere della tecnica dà l'impressione di volersi emancipare da ogni istanza umana, dove i desideri si trasformano in diritti ad ogni costo e l'apparire, facilmente, prende il sopravvento sull'essere.
In un articolo di Avvenire di qualche tempo fa, si richiamava l'attenzione sul tempo da dedicare ai social, «che deve essere "giusto" ma non eccessivo» e, riferendosi in particolare ai sacerdoti, ma il discorso è estensibile a qualsiasi operatore pastorale, aggiungeva: «perché la gente non cerca preti che "vivono sui social" ma che "comunicano sui social"».
Accade spesso e a tutti (ricordiamo la media giornaliera di connessione: 6 ore e 22 minuti... un quarto della giornata!) che le attività quotidiane, finanche la preghiera e il riposo, siano continuamente condizionate dall'intrusione dei social. Si è sempre connessi e basta il bip di un messaggio o la notifica di un App per essere attirati dallo smartphone e perdere la concentrazione, fino ad arrivare a vere e proprie forme di dipendenza.
Numerosi studiosi concordano nell'affermare che l'uso eccessivo o inadeguato di queste tecnologie può indurre dipendenza psicologica e sviluppare disturbi psicopatologici, i cui sintomi sono simili a quelli del disturbo da dipendenze da sostanze.
Uno studio, realizzato dai ricercatori dell'Università di Pittsburgh e pubblicato sull'American Journal of Preventive Medicine, mette in correlazione un maggiore utilizzo dei social media con livelli sempre più elevati di isolamento sociale percepito. Un uso smodato dei social network, invece di mettere in contatto le persone, favorisce l'isolamento. Ma, come ci ricorda Papa Benedetto XVI, «La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. [...] Non è isolandosi che l'uomo valorizza sé stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio». E Papa Francesco, ancora una volta, ci mette in guardia dall'individualismo che può insinuarsi anche nei social: «I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un'amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un'apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un "noi", ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l'umanità».
Da un'altra ricerca, pubblicata su The Open Psychology Journal e svolta da un gruppo di scienziati di Swansea (Regno Unito) e dell'Università Statale di Milano, è emerso inoltre che l'uso dei social enfatizza la percezione, da parte delle persone con tratti narcisistici, di essere al centro dell'attenzione. Grazie alla mancanza di una censura reale in rete, queste persone possono presentarsi in modo grandioso e realizzare fantasie di onnipotenza, scollandosi sempre più dalla realtà e creando i presupposti perché i tratti narcisistici in alcuni casi arrivino a diventare un disturbo di personalità.
Potrebbe sembrare fuori tema parlare di dipendenze in un vademecum sulla privacy, eppure vedremo come attraverso algoritmi che utilizzano i dati, non sempre con la piena consapevolezza degli utenti, si cerchi di prolungare la permanenza nell'ambiente digitale, creando di fatto terreno fertile per le dipendenze.
Quando navighiamo in rete, usiamo i social e le app, i gestori dei siti che visitiamo e le agenzie che gestiscono la pubblicità online tracciano i nostri comportamenti così da ricavare un nostro profilo personale e commerciale da utilizzare per campagne pubblicitarie mirate e costruite su misura sulle nostre esigenze e sui nostri gusti. L'efficacia della pubblicità online deriva dalla capacità di conoscere il consumatore, le sue preferenze, i suoi orientamenti e, talvolta, anche caratteristiche di cui lo stesso non è a conoscenza o che non ha rivelato direttamente.
Attraverso algoritmi sempre più raffinati si indirizzano gli utenti verso prodotti e servizi rispondenti a specifiche esigenze e desideri. Sfruttando i dati forniti e condivisi o, spesso, usando quelli osservati o dedotti dai providers, si offrono agli utenti contenuti interessanti, inducendoli così a prolungare i tempi di permanenza sui social e nel web, aumentando conseguentemente la quantità di pubblicità che viene proposta.
In questo ambito molto complesso, per evitare l'affermazione di modelli di business poco rispettosi dei dati personali degli utenti, lo scorso 13 aprile 2021, è intervenuto il Comitato Europeo per la protezione dei dati (EDPB) adottando le Linee guida 08/2020 sul targeting degli utenti dei social media , che identificano i principali attori e i loro ruoli e offrono una panoramica dei rischi e dei diritti degli interessati.
Particolare attenzione merita, inoltre, il crescente fenomeno del furto di dati, con conseguenze anche molto gravi. Nella rete si corre costantemente il rischio di mettere in pericolo i dati personali e la privacy. È opportuno quindi introdurre tutte le precauzioni possibili (navigazione in incognito o blocco dei cookie di terze parti, tanto per fare due esempi) che consentano di proteggere e salvaguardare dati personali e anonimato online.
Molto spesso il furto dei dati avviene, con l'inconsapevole "complicità" dell'utente, attraverso delle e-mail fraudolente create per rubare le credenziali degli account, somiglianti in tut-to a messaggi da parte dei servizi che normalmente si utilizzano. Questa patica prende il nome di phishing, una truffa in grande espansione con la quale si cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso, fingendosi un ente affidabile. Diverse sono le modalità utilizzate per carpire le informazioni, da una semplice e-mail con richiesta di password e altri dati, ad e-mail con link su cui cliccare che indirizzano a siti molto simili a quelli legittimi, ad e-mail con allegati da scaricare. Il testo delle e-mail, nella maggior parte dei casi, avverte che c'è un problema con l'account di posta elettronica, è stato raggiunto il limite di archiviazione, c'è un problema con l'invio di un'e-mail, è stato rilevato un accesso non autorizzato, il destinatario è accusato di inviare spam, vengono segnalate altre violazioni. Insomma, si tenta di convincere l'utente a mettere in atto delle azioni che comporteranno la "consegna" dei propri dati ai truffatori, un po' come se si mettessero a disposizione dei ladri le chiavi della propria abitazione.
In generale per difendersi dal phishing è bene attuare alcuni semplici accorgimenti:
- diffidare di qualunque e-mail che richieda l'inserimento di dati riservati riguardanti codici di carte di pagamento, chiavi di accesso al servizio home banking o ad altri servizi e account personali. Non cliccare su eventuali link presenti nel messaggio. Nessuna banca o servizio chiede tali informazioni via e-mail;
- non aprire mai allegati di messaggi, se non si conosce con sicurezza l'identità del mittente. Un allegato può contenere virus o installare sul PC programmi che ne compromettono la sicurezza. Verificare con particolare attenzione i messaggi ricevuti nella cartella spam;
- utilizzare Password affidabili e modificarle periodicamente.
È dei giorni scorsi la notizia della diffusione della lista de-nominata RockYou2021, contenente password illecitamente trafugate. Si parla di 8,4 miliardi di chiavi d'accesso usate per autenticarsi sui propri account sul web e che sono state rubate da hacker. L'uso improprio di queste password potrebbe comportare gravi conseguenze che vanno ben oltre l'utilizzo dei social, con rischi, ad esempio, anche per conti bancari. Per l'accesso agli account è consigliabile attivare, dove possibile, l'autenticazione a due fattori, che si basa sull'utilizzo congiunto di due metodi di autenticazione individuali, ad esempio con l'invio di un sms o la richiesta di approvazione con un app.
Altra criticità da non sottovalutare, legata alla tutela della buona fama e della riservatezza, è connessa alla pubblicazione o alla condivisione di post, commenti, stati.
Prima di tutto, come già in precedenza sottolineato, bisogna tener presente che per pubblicare o diffondere qualsiasi dato personale di terzi, in special modo quando sono coinvolti minori, è necessario preventivamente fornire l'informativa e acquisire il consenso.
Non bisogna poi dimenticare che i social sono luoghi pubblici e quello che una singola persona scrive o condivide sul proprio profilo, ancor più se si tratta di un sacerdote, di un gruppo o di un'associazione ecclesiale, ha una rilevanza che va ben oltre il gruppo degli amici, diventa punto di riferimento per tante persone e potrebbe trasformarsi in un caso nazionale . Inevitabilmente l'attività online lascia il segno e porta a dei giudizi, non è qualcosa di banale, incide sulla reputazione che va attentamente curata a livello personale e istituzionale . Cura che passa anche attraverso la scelta di contenuti e linguaggio, verificando, soprattutto nei casi di condivisione, la fondatezza delle notizie e la credibilità delle fonti perché si è responsabili di quanto viene pubblicato e potremmo trovarci, nostro malgrado, ad avallare e fare da amplificatori a post e notizie false, senza alcun fondamento, a volte lesive della buona fama degli altri.
Ce lo ricorda Papa Francesco: «Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere» .
L'esperienza insegna che, specie in certi frangenti, dibattere sui Social difficilmente porta ad un serio e critico confronto. Tuttavia, è sempre d'obbligo una comunicazione più pensata e meno emotiva, che si fondi su dati certi e non sul sentito dire.
Su questo tema e sul rischio che le notizie false prevalgano sulla verità dei fatti ha scritto su Avvenire Mimmo Muolo:
«... quando c'è la certezza dei dati, è inutile straparlare. L'antica regola è però oggi posta pesantemente in discussione dalle dinamiche comunicative dell'era social. Dove ognuno, nell'ambito della manciata di caratteri concessi da Twitter e simili, può diventare una fonte di notizie. Tanto più autorevole, quanti più sono i suoi followers. Che poi quel qualcuno non abbia la minima competenza per addentrarsi in certe materie o si limiti a fare da megafono a bufale più volte smentite (anche su queste colonne) con documenti alla mano, sembra persino irrilevante. Perché le bufale, che oggi chiamiamo fake news, anche se ripetute milioni di volte sui social, non diventeranno mai verità».
Al mondo dei social è legato anche un altro problema molto grave. Capita sempre più frequentemente di trovare post e commenti molto aggressivi, pieni di parole offensive e carichi di odio. Discussioni che degenerano facilmente in veri e propri scontri, coinvolgendo anche migliaia di persone. È evidente un'espansione della rabbia nel mondo virtuale che affonda le radici in frustrazioni e disagio interiore e spesso si alimenta anche con false notizie spacciate per verità assolute.
A questo fenomeno, Papa Francesco ha dedicato un paragra-fo dell'Enciclica Fratelli tutti, titolandolo "Aggressività senza pudore". Così scrive il Papa:
«Proprio mentre difendono il proprio isolamento con-sumistico e comodo, le persone scelgono di legarsi in maniera costante e ossessiva. Questo favorisce il pullu-lare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell'altro, con una sfrenatezza che non potrebbe esistere nel contatto corpo a corpo perché finiremmo per distruggerci tutti a vicenda. L'aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali.
Ciò ha permesso che le ideologie abbandonassero ogni pudore. Quello che fino a pochi anni fa non si poteva dire di nessuno senza il rischio di perdere il rispetto del mondo intero, oggi si può esprimere nella maniera più cruda anche per alcune autorità politiche e rimanere impuniti. Non va ignorato che "operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l'incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio".
Occorre riconoscere che i fanatismi che inducono a distruggere gli altri hanno per protagonisti anche persone religiose, non esclusi i cristiani, che "possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui". Così facendo, quale contributo si dà alla fraternità che il Padre comune ci propone?».
Difronte a situazioni di aggressività e conflitto, l'atteggiamento di chi ha cuore la dimensione comunicativa «porta ad ascoltare le ragioni che sottostanno a quelli che intendiamo come attacchi. Ci porta a costruire un terreno comune che aiuta a confrontarsi, con sé stessi, prima di tutto e poi con gli altri. Il fine è arrivare a parlare con ideologie e modi diversi di vedere la realtà, per costruire un vero dialogo razionale fondato su ragioni» .
Il mondo digitale ci dà tanto, lo abbiamo sperimentato soprattutto durante le fasi più dure della Pandemia, ma innegabilmente produce anche molti effetti negativi, tra i quali, appunto, il diffuso clima di odio e di violenza verbale, di cui abbiamo appena trattato, che inquina i social e si è diffuso nella società.
Un gruppo di esperti di comunicazione, di ricercatori e do-centi universitari, due anni fa ha pubblicato il "Manifesto della comunicazione non ostile", un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole per diffondere la cultura della scelta responsabile delle parole. Si tratta di dieci princìpi utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in Rete con lo scopo di favorire comportamenti rispettosi e civili affinché il web diventi un luogo di crescita e confronto, non di scontro continuo.
In qualsiasi tipo di comunicazione e discussione che ci coinvolgono possiamo fare nostri questi impegni e contribuire a rendere la rete un luogo accogliente e sicuro per tutti.
Concludiamo questa sezione proponendo delle semplici regole per l'utilizzo dei social offerte da un articolo di Avvenire:
«Qualunque possa essere il rischio di abitare i social, i vantaggi restano ancora tanti. Non esiste un mezzo così potente per raggiungere in fretta tante persone. Bisogna però tenere a mente alcune "regole". Prima di portare la comunicazione ecclesiale sui social occorre chiedersi (rispondendo nel modo più profondo e sincero possibile): perché vado sui social? Cosa voglio comunicare? Con quale stile? Ho tempo di ascoltare le critiche e le esigenze della mia "comunità digitale" o cerco solo un pubblico che mi gratifichi e metta "mi piace" a tutto ciò che faccio?».