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Guarire l'animo

Scritto da Massimo La Corte on .

Incurabili… È il nome di un ospedale napoletano dai presagi nefasti, ospitato in un monumentale complesso cinquecentesco, dove erano condotti coloro che non avevano alcuna speranza di sopravvivenza a causa di malattie irreversibili o per la condizione sociale di povertà e di abbandono. E tuttavia in quelle mura usufruivano di una umanissima assistenza non solo medica, ma caritativa e religiosa. Le corsie di quell’ospedale sono state le cattedre per esimi uomini di scienza, ma anche la palestra di santità di uomini e donne eccezionali, almeno trenta tra Santi e Beati, hanno frequentato gli Incurabili. Ricordo per tutti il giovane principe napoletano Alfonso dei Liguori, dismessa la livrea nobiliare, era solito servire i malati degli Incurabili, fu proprio in quello spazio e respirando quell’aria che percepì ripetutamente un invito, sulle prime sconcertante, ma poi sempre più convincente: “lascia il mondo …”; comincia così il travaglio interiore che lo condurrà a scelte di radicalità in favore dei più abbandonati. Resta viva in quei padiglioni la venerazione al medico Santo Giuseppe Moscati, memorabile figura di carità ai più poveri.

Ciò che stiamo sperimentando in questa crisi socio-sanitaria è che la malattia e la sofferenza addomesticano e cambiano! È questa la verità dalla quale ripartire per comprendere la direzione ed il senso di ogni stagione della vita. Quando improvvisamente la condizione del dolore compare nella vita, comincia un doveroso ripensamento che porta a resettare le relazioni, le risorse, i talenti, si comincia a leggere con sano realismo i ritardi, i fallimenti, le imprese pienamente riuscite, delle quali forse in alcuni casi, resterà solo il ricordo. La malattia non ridimensiona, piuttosto indirizza verso prospettive inedite ogni attimo ed ogni piccolo talento. È la stagione nella quale si comincia ad inventariare il tempo e le occasioni, tutto appare particolarmente prezioso ed irripetibile. Non solo perché viene amputata una visione funzionalistica ed efficientista della persona, ma perché si resta circondati esclusivamente da ciò che conta.

Si fa sempre più urgente nella fase della sofferenza insopportabile e del dolore la vicinanza e la prossimità non solo della famiglia, ma anche della scienza, onde evitare la tristezza cocente della solitudine e dell’abbandono dentro i quali può anche maturale l’insano desiderio dell’autodeterminazione assoluta e solitaria, con logiche di morte e di suicidio assistito. In un modello sociale selettivo, idolatra della meritocrazia e dell’efficienza, l’infermità stabile e definitiva, la disabilità, appaiono persino un peso nell’economia di una società.

Il volontariato si esprime in una logica di vicinanza e di prossimità verso coloro che provati dal doloro avvertono il bisogno di un sostegno. Non si tratta solo di dare sollievo a fratelli e sorelle provati dalla malattia, ma è anche l’occasione per ricevere, per avviare processi di discernimento, per riporre nella giusta direzione la visione della vita e del mondo. In tale prospettiva non è affatto educativo sottrarre dalla dimensione relazionale delle giovani generazioni l’impatto con la sofferenza e con il dolore. La morte e il dolore non si possono nascondere, non per una compiaciuta rassegnazione né per una fatalistica visione della vita, ma per un sano realismo educativo. Entrare in contatto con la sofferenza educa all’impegno, alla passione per la valorizzazione di ogni frammento di vitalità e di ingegno, educa all’oblatività offerta e ricevuta di chi vuole scorgere in ogni situazione una rinnovata opportunità di vita e di servizio.

La pretesa di isolare dalla sofferenza è un delirio che conduce a uno scadente impatto con la vita e con la società, perché elabora schemi arcaici nei quali chi ha possibilità è un vincitore e chi è sfortunato è anche un perdente. Siamo di fronte all’eliminazione di ogni ragionevole progetto umano e sociale. Solo la logica dell’inclusione e della generatività aiuta a cogliere in un tempo della vita e per tutta la vita la gioia di una nuova conquista e debellare le paure. La prima delle quali è proprio la paura dell’inutilità del vivere, del soffrire e del morire. Questo pericoloso nichilismo si dissolve solo attraverso una singolare apertura alla ‘questione Dio’, al Trascendente e al Divino, via della bellezza e della salvezza, educandosi all’accettazione del limite umano come grazia e come opportunità. L’impatto doloroso con la sofferenza inutile, con quella dei bambini e degli innocenti o con chi vive sofferenze insopportabili, suscita interrogativi inquietanti, solo l’alleanza con un umanesimo integrale e trascendete può sostenere il riscatto e la guarigione dell’animo umano

+ p. Antonio De Luca