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Vecchia veneranda non è longevità

Scritto da Massimo La Corte on .

«Non si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza» (Sapienza 4, 8). In questa tragica guerra per sconfiggere il covid-19 i primi a cadere sul campo sono proprio i nostri anziani. L’età avanzata delle vittime non estingue l’amarezza del distacco.

L’allungamento della vita ha permesso il consolidarsi di legami affettivi con i nonni e gli anziani, come estremo tentativo di recupero del frammentario panorama relazionale familiare. Nella loro sedimentata capacità di ascolto e di racconto, si può gustare la bellezza di una consolante sicurezza, che come ci ricorda il testo sacro è una “sapienza”.

In questa decimazione, che tocca soprattutto gli anziani, stiamo imparando a ricalibrare il nostro linguaggio: dopo l’iniziale calcolo grezzo delle vite da sacrificare rispetto a quelle da salvare – chiaramente le più produttive e redditizie – si sta facendo sempre più strada una logica eticamente più valida, rispettosa di ogni vita umana.

Nei paesi occidentali l’invecchiamento assume proporzioni considerevoli, ma non per questo bisogna sminuire questa fase della vita che merita un’attenzione umana e relazionale capace di aiutare ad invecchiare e soprattutto a trovarvi un senso. È noto il contributo che, anche dal punto di vista economico, essi riescono ancora a offrire alle famiglie, al mondo del lavoro, della farmaceutica e dell’assistenza sanitaria.

Gli anziani non sono una sciagura, ma una risorsa educativa, che aiuta a riscoprire l’amicizia disinteressata, l’affermazione delle cose essenziali, la relativizzazione dei miti efficientisti. Essi sono una lezione permanete: «Accetta serenamente l'insegnamento degli anni, abbandonando con grazia le cose della giovinezza» (Desiderata). Nel lento scorrere dei giorni e nelle sorprese dei piccoli doni, l’anziano ci educa al saper dire addio! Nei nostri anziani dobbiamo saper cogliere tutto il desiderio di non recidere i ponti con le giovani generazioni, la bramosia di raccontare, di consegnare ricordi, di riandare costantemente ai punti di riferimento: la famiglia, il lavoro, le rinunzie e i sacrifici, in molti anche il terribile ricordo di guerre e di calamità; ma anche l’amabile apprezzamento per le meravigliose conquiste e la vivida passione per il futuro. Essi, come ricorda il teologo L. Boros, sanno parlarci di Dio, perché «il Dio della vecchiaia è un Dio di sorridente tranquillità». È proprio questa la missione più grande.

Con un grato ricordo per tutti, vi benedico di cuore.

+ p. Antonio De Luca