Stampa

La risurrezione e la vita

Scritto da Massimo La Corte on .

2 aprile - V Domenica di Quaresima

"Vero uomo come noi, egli pianse l’amico Lazzaro; Dio e Signore della vita, lo richiamò dal sepolcro; oggi estende a tutta l’umanità la sua misericordia (dal preftazio).

La celebrazione della V domenica di quaresima segna quasi il culmine del nostro itinerario quaresimale. Assaporiamo vicina la Pasqua del Signore e il Vangelo di questa domenica è l’anticipazione della vicenda stessa di Gesù. La morte non ha l’ultima parola sull’esistenza dell’uomo e Lazzaro è la prova di quanto amore Dio nutre per l’umanità: un amore che risana, guarisce, restituisce vita.

Per la terza volta la liturgia della Parola ci propone un racconto ampio ed articolato tratto dal Vangelo di Giovanni. La samaritana, il cieco nato, oggi è la volta dell’amico Lazzaro. A fronte di situazioni umane sempre più precarie, emerge la figura e l’opera di Gesù che non si ritrae davanti alle necessità di un’umanità debole e sofferente. Gesù si manifesta come acqua viva, capace di dissetare l’esistenza arida della samaritana; è la luce del mondo, capace di restituire la luce agli occhi spenti del cieco; è la risurrezione e la vita in grado di ridare l’esistenza a Lazzaro.

Perché la morte, se Dio è in grado di compiere il grande miracolo della vita? Perché questa realtà dura e ruvida del distacco? Se Dio è più grande della morte, perché non risparmia l’umanità da questo ultimo, grande nemico? (1Cor 15, 26) È la domanda che attraversa tutto il Vangelo di questa domenica e alla quale sembra che neanche Gesù sia in grado di rispondere. Il Figlio dell’uomo è addolorato, dispiaciuto per la morte dell’amico, tanto da non riuscire a trattenere le lacrime. Le lacrime di Dio, forse, sono la risposta più eloquente ai nostri interrogativi.

Gesù era di casa a Betania, nella famiglia di Lazzaro si sentiva a suo agio. Ritrovava in essa il calore umano di cui anche lui aveva bisogno. Ora la morte aveva steso il suo velo di tristezza su Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, le quali, quasi come dolce rimprovero, si rivolgono a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11, 21). Gesù sapeva della malattia di Lazzaro e della sua morte, eppure attende quattro giorni prima di recarsi a Betania e giunge quando ormai il cadavere era nel sepolcro. Questo comportamento di Gesù è molto simile a quello di Dio, che non muoverà un dito per scongiurare la morte di suo Figlio sulla croce, se non dopo che Gesù stesso sarà deposto nel sepolcro. Le ultime parole di Gesù sulla croce sono la ricerca di senso a tanto dolore: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46).

Ci consola sapere che accanto a noi, nel momento del dolore, c’è Dio. Da quando anche lui si è sottomesso alla prova più difficile della morte, in noi si è accesa la speranza. Dio non ci risparmia la morte, ma è in grado di darci la vita, quella vera. La morte non è altro che un “passaggio”, un “andare oltre” dove siamo certi di trovare il Signore della vita.

Dopo la morte e la risurrezione di Gesù non possiamo più dire: «Signore, se tu fossi stato qui…» perché, dopo la sua Pasqua, abbiamo la certezza che Gesù è sempre con noi: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23, 4).

Buona e santa Domenica.

+ p. Antonio, Vescovo.