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Omelia del Vescovo per l'apertura diocesana del cammino sinodale

Scritto da Massimo La Corte on .

Domenica 17 ottobre 2021 - XXIX del tempo ordinario

Un ringraziamento a tutti voi per essere riusciti a trovare le opportunità e il tempo e rispondere così all'appello del Santo Padre di ritrovarci questa sera in assemblea eucaristica per dare inizio al percorso sinodale diocesano invocando lo Spirito Santo, “primo dono ai credenti”.

Un ringraziamento ai parroci, ai presbiteri, ai diaconi e a voi, operatori sinodali designati in rappresentanza delle vostre comunità; un ringraziamento all'Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, che permette, a chi ha deciso di farlo, di seguirci da casa.

Il Vangelo proclamato questa sera (Mc 10, 35-45), ci presenta una di quelle incomprensioni, non infrequenti, tra Gesù e i suoi discepoli. Una incomprensione che si ripresenta tutte le volte in cui il Maestro parla della Croce. La meta qualifica un gruppo in cammino, e Gesù si guarda bene di non ingannare “i suoi”, chiarisce costantemente l’orizzonte di una destinazione inedita: la croce. Quando Gesù realizza i grandi segni, miracoli e prodigi, c'è sempre un'accoglienza incondizionata, un'esultanza tanto che “cresceva il numero di coloro che ascoltavano la parola”. Ma quando Gesù parla della Croce subentra sempre un senso di inquietudine: il figlio dell’umo deve molto soffrire, essere condannato a morte …. e Pietro con veemenza reagisce al triste destino che attende Gesù a Gerusalemme, «Signore, questo non ti deve accadere mai!». E Gesù pronuncerà per lui quella parola durissima, respingendolo: «Non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini».

Anche in quella memorabile e ultima notte con i discepoli, «nella quale fu tradito», mentre sta per compiere il più alto gesto di oblatività e di sacrifico con l’istituzione dell’Eucaristia, i discepoli sono suggestionati dal potere e dalla carriera: «Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande» (Lc 23,24). Così si corre il rischio di vanificare il dono, l'offerta di sé, con una tensione autoreferenziale e narcisistica. Due ambigui dinamismi che distruggono la comunità e conducono fuori dalla logica del Vangelo.

Questa sera abbiamo ascoltato che Gesù quasi è costretto a rispondere, all'ambizione forse ingenua e comunque puerile, di questi due fratelli impetuosi, tempestivi nelle aspettative, li chiamavano boanérghes (figli del tuono), vogliono un posto di predilezione affettiva ed amicale con il Maestro: la destra e la sinistra. La risposta di Gesù certamente calma le tensioni che insorgono negli altri discepoli, e tuttavia coglie l’opportunità per una ulteriore chiarificazione sulla vocazione di ogni discepolo: la fedeltà al Maestro e alla sua parola non si misura dalle vicinanze o distanze geografiche, calcoli materiali e inutili, non sono i risultati, le mete raggiunte, i bilanci in attivo, i successi e la brillantezza dei discorsi, ma tutto è una vicenda di cuore, di profondità, di interiorità. Non basta sedere a destra e a sinistra quando poi il cuore è lontano. Nella parabola del padre misericordioso, raccontata dall’evangelista Luca; l’esultanza del padre, per rivedere il figlio di nuovo in casa, è turbata dall’esplicita ostilità del figlio maggiore che in realtà è sempre stato, teoricamente vicino al padre, in realtà è uno con un cuore lontano. Anche il figlio maggiore, materialmente presente accanto al padre, non riesce a coinvolgere il cuore. È una presenza senza passione, senza gioia, tanto che di fronte alla misericordia del padre avrà un moto di ribellione, di rifiuto, resterà fuori.

La collocazione geografica, i nostri posti, le nostre disposizioni, sono relativi a una decisione interiore di fedeltà, di sequela e di primato, quello di Dio. Papa Francesco ricorda «il cammino cristiano non è una rincorsa al successo, ma comincia con un passo indietro, con un decentramento liberatorio, con il togliersi dal centro della vita».

In questi mesi abbiamo condiviso i messaggi, le catechesi, i convegni, sulla natura e sul percorso che ogni Chiesa particolare deve avviare con il Sinodo. Pertanto, un’ulteriore ripetizione potrebbe apparire persino ridondante, invasiva. Papa Francesco ci ha offerto recentemente nell’Omelia per l’apertura del Sinodo dei Vescovi le tre parole che ci devono accompagnare: partecipazione, comunione e missione. Vorrei, invece, sottolineare appena tre dimensioni di questo cammino che potrebbero aiutarci in questa fase di percorso sinodale.

Questo è il tempo dello Spirito. È il tempo dell'interiorità, è il tempo della profondità. Della riscoperta delle motivazioni profonde e delle alleanze decisive e matura. Quello che noi dobbiamo operare è un percorso di conversione pastorale, ma la conversione pastorale rinvia a una conversione ben più profonda che è la conversione personale. Guai a ridurre questo percorso sinodale a un insieme di scadenze, rappresentanze, organizzazioni. Il cammino sinodale non è cosa di uomini, ma è una faccenda dello Spirito. Ecco perché la vita nello spirito, la spiritualità, è il primo appello che risuona per ciascuno di noi in questo cammino. Questo appello sinodale ci ripropone la rimotivazione di scelte, di operazioni, di indicazioni che vanno ben al di là dell'accoglienza emotiva ed occasionale, di un dialogo formale e superficiale. La spiritualità ci mette in una valutazione globale dei nostri limiti, ma anche del riconoscimento delle nostre opportunità e delle nostre risorse. Innanzitutto, ci apre al salutare discernimento del bene possibile da realizzare qui ed ora!

La seconda dimensione: questo è il tempo di vivere il mistero della Chiesa. Sì, questo è il tempo di Chiesa. È tempo di ricomprendere l'identità, il mistero di comunione della Chiesa, essa «cammina insieme, percorre le strade della vita con la fiaccola del Vangelo accesa. La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza … il centro della Chiesa? Non è la Chiesa!» (Papa Francesco). Soprattutto il Papa vuole che la Chiesa riscopra la grande dimensione dell'ascolto. Di chi? Innanzitutto, di Dio! Della parola di Dio, che va ricollocata nella comunità come fonte ispirativa dei nostri giudizi, delle nostre scelte, dei nostri progetti. A nulla servirebbero i nostri ascolti vicendevoli se non riconducono e partono costantemente dalla condivisione sulla parola di Dio. L'ascolto per un cristiano coincide sempre con l'ascolto di Dio e della sua parola dal quale trova spunto e motivazione anche l'ascolto vicendevole, per non ridurre la Chiesa, le aggregazioni, le associazioni, come un consultorio o un’associazione culturale. L'ascolto irrobustisce anche la nostra obbedienza a Dio che parla.

Infine, la terza dimensione: la pazienza. Questo è il tempo della pazienza. «Non è di moda parlare di pazienza. Viviamo in tempi di impazienza. Il nostro stile di vita è diventato frenetico. Vogliamo essere sempre al corrente… »1 . Talvolta noi percepiamo la pazienza come una mera e ineluttabile rassegnazione ai fatti che ci capitano intorno, non è inoperosità né rassegnazione. Il senso biblico della pazienza (macrotymia), coincide con un termine che noi non usiamo frequentemente: la pazienza è lungimiranza. Ecco perché la pazienza è la porta della speranza. Il teologo della speranza, sopra citato, continua: «Senza pazienza la speranza diventa superficiale e si dilegua rapidamente all’apparire dei primi ostacoli. Nella speranza incominciamo qualcosa di nuovo, ma solamente con la pazienza lo manteniamo: solo perseverando nella pazienza la speranza diventa sostenibile. La pazienza è una virtù che impariamo nella speranza. D’altra parte, la pazienza cade nella passività quando si perde la speranza»2.

Questo tempo di lungimiranza ci mette nell'attesa feconda di rispettare la lentezza degli altri. Questa pazienza biblica ci mette anche nella responsabilità di educarci all’attesa come laboriosità nell’ascolto e non inutile vacuità. Senza essere frettolosi nei giudizi, impietosi nelle valutazioni e rigidi indicatori di fredde pratiche. Questa pazienza fa spazio all'azione di Dio, autore e perfezionatore di tutti i doni. Così, con queste tre dimensioni, possiamo davvero riuscire a non contristare lo Spirito che vive dentro di noi, nelle nostre comunità e nella nostra Chiesa.

Il cammino sinodale si snoderà secondo le indicazioni e le modalità che la Segreteria Generale del Sinodo ci offre e che la CEI ci trasmette. Cammineremo con gioia verso il Giubileo del 2025. Noi siamo certi e siamo anche sicuri che non sarà un cammino infruttuoso, ma siamo anche consapevoli che in questa copiosa seminagione non tutto fiorirà. Non tutto riuscirà a prendere quella necessaria consistenza, ma ci rimettiamo nelle mani di Dio; perché se attraverso il Magistero del Papa, Dio ci indica questa sfida, questa stagione, siamo disposti a metterci in questo ascolto vicendevole con i giovani, forse troppo lontani dai nostri orizzonti comunicativi e che tuttavia si aspettano una significativa attenzione da parte di noi pastori, ma soprattutto da parte di tutte le comunità. In ascolto della famiglia, sul problema della vita, dei poveri, il disagio della mancata partecipazione alla vita civile, la crisi socio-ambientale-sanitaria, e in questi meandri di realtà siamo chiamati a pronunciare una parola di fiducia, di speranza, di profezia e soprattutto con la gioia di invocare lo Spirito Santo, certi che se lui arriva qualche cosa è costretta ad andar via. Se arriva lo Spirito va via il pessimismo, l'egoismo, l'indifferenza, le chiacchiere inutili e crescerà quel mistero grande che è la comunione, al quale la chiesa risponde per volontà del suo fondatore.

La Beata Vergine Maria, Madre e Regina della Chiesa, ci accompagni, ci sostenga e ci benedica sempre.

Sia lodato Gesù Cristo.

+ p. Antonio De Luca

 

1 Jurgen Moltmann, Pazienza, misericordia e solidarietà, Queriniana.
2 Ibid.