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Venite e vedrete

Scritto da Massimo La Corte.

Venite e vedrete (Gv 1,39)

Siamo di fronte a parole che indicano un imperativo complesso ed un invito energico. Tale imperativo è preceduto da due domande che risuonano in un dialogo tra Gesù e i discepoli di Giovanni Battista: «che cercate?...... dove abiti?» (Gv 1, 38). Dietro quegli interrogativi vi è una ricerca, un bisogno di consapevolezza. Nella domanda di Gesù vi è un accertamento di autenticità; nella domanda di Andrea e dell’altro discepolo vi è una sete di ulteriore profondità, un’apertura alla compiutezza di una profezia e di una missione. Nelle parole sintetiche e misteriose di Giovanni Battista, riferite a Gesù che passava «Ecco l’agnello di Dio!» (Gv 1, 36), tutti comprendono che si è concluso un ciclo, una profezia si è avverata, i tempi sono maturi per nuovi riconoscimenti e, per questo che con grande senso di libertà interiore e gratitudine, Giovanni consegna i suoi discepoli al vero Maestro.

«Venite …» (Gv 1, 39) è invito, risposta e imperativo con il quale potrà essere aperto il nuovo progetto di vita di Andrea e degli altri discepoli. A chi gli ha chiesto informazione su un luogo, Gesù risponde con una proposta dinamica e coinvolgente. Un invito a mettersi in movimento: «venite…». Nel Vangelo questo imperativo ritorna frequente sulle labbra di Gesù. E’ rivolto a chi è triste, affaticato e oppresso: «Venite dietro a me» (Mt 11, 28); «Venite in disparte…» (Mc 6, 31). Ma c’è anche un invito alla festa: «Venite alle nozze» (Mt 22, 4).

Accettare questo comando significa mettersi in gioco, esprime disponibilità a lasciarsi alle spalle anche un bagaglio di buoni e suggestivi ricordi per aprirsi al nuovo e non ridurre la fede né a nostalgia né ad archeologismo. Rispondere all’invito significa emergere dall’invasione dell’accidia e dei rimpianti.

«…e vedrete» (Gv 1, 39). Il vedere non coincide con la conferma di aspettative preconfezionate, né di una superficiale constatazione di luoghi. Quel «…e vedrete» comporta l’esperienza di un ingresso straordinario in una relazionalità divina, che attraverso una vera umanità, induce ad assumere impegni e motivazioni. Ogni credente ed ogni battezzato può accogliere questo comando di Gesù e rimanervi, quasi sedotto e affascinato perché l’incontro con lui ed il suo Vangelo spalanca le porte alla “vita buona” e, tuttavia andare da Gesù, coincide con il rimanere in lui e portare frutto (cf Gv 15, 5).

Rimanere in Gesù significa dimorare con lui, stabilire una permanente comunione che infine è inabitazione trinitaria e che comporta anche il momento della lotta spirituale, della prova, del buio.

Un testimone del nostro tempo, il card. Martini così descriveva il suo incontro con Gesù: «La mia è stata una sistematica, crocifiggente e insieme salutare esposizione al dubbio, nella inermità di una coscienza alla ricerca del vero».

Dobbiamo imparare a fare i conti con questo duplice imperativo: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39), non possiamo confondere le parole di Gesù come una pia esortazione, il Vangelo è attenzione ai fatti e agli insegnamenti del Maestro, è rivelazione di una vita spesa nell’amore. Bisogna lasciarsi scrollare dalle pseudo conquiste intellettualoidi e dei falsi calcoli, e anche dalle risposte troppo scontate, prudentemente calibrate, ovvie e perciò anche irrilevanti.

Chi va dietro a Gesù sa che deve necessariamente intravedere ed assumere la logica della croce e della gloria.

+ p. Antonio, Vescovo