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Noi, piccolo gregge

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7 Agosto - XXII Domenica del Tempo Ordinario

“Siate sempre pronti:
simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze”. (Lc 12,35-36)

In un momento di particolare tensione e “bombardati” da notizie che riempiono di terrore e sgomento, la parola di Gesù risuona con ferma decisione e apre il cuore alla speranza: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Dio non ci ha promesso il castigo, egli non si compiace di rovinare la vita dell’uomo, Dio ci dona invece la vita, quella vera che scaturisce come sorgente di acqua zampillante. Il Regno di Dio, la sua signoria sulle nostre vicende è anche la pienezza della nostra vocazione. Dio ci dona se stesso, egli non si limita a darci qualcosa che riesca a soddisfare le attese, egli ci viene incontro restituendo dignità, coraggio, audacia perché possiamo sempre più e sempre meglio rendere ragione della speranza che è in noi.

La vita in pienezza è il sogno di Dio per noi. È il nostro incontro con lui, al quale ci si prepara con dedizione, servendo Dio e i fratelli, nell’attesa operosa, nella preghiera e nella comunione di vita. Attendere Dio significa rendersi conto che egli è già presente, non ci chiede di attenderlo nello smarrimento, peggio ancora nella paura di ciò che accadrà. È straordinaria la rivelazione del Vangelo di questa domenica: Si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Il cristiano attende con fiduciosa speranza la rivelazione ultima e definitiva di Dio, quando egli sarà tutto in tutti (cf 1Cor 15, 28). Allora faremo esperienza di Dio, in una comunione che non avrà mai fine, inseriti nella vita stessa di Dio.

Intanto siamo inseriti in un tempo, siamo sottoposti alle contraddizioni della vicenda umana, troppo spesso soggiogati dal male ed attraversati dal fallimento e dal peccato. I frutti sono sotto i nostri occhi: violenza, aggressioni, uccisioni, attentati, morte…davanti a questo scenario opprimente avvertiamo la parola del Signore rivolta a noi: Non temere!

All’uomo che tenta di fare a meno di Dio, il credente risponde che solo in lui trovano risposte le domande dell’uomo, le sue ansie e le sue preoccupazioni. Il tentativo di togliere Dio, mortifica l’uomo, lo rende soggetto autoreferenziale, incapace di operare il bene. La proposta del Vangelo, al contrario, rivela il volto di Dio, Signore e Servo, che ama stare con i figli dell’uomo per indicare loro la pienezza della vita divina.

Anche se piccolo gregge siamo pronti a seguire il Maestro che invita a stare pronti, a vegliare per accogliere Dio che viene nella nostra esistenza. Forse ci chiede troppo, ma solo così possiamo essere certi di aver speso l’esistenza per la cosa più importante, quella che conta davvero, senza timore di esserci sbagliati.

Buona e santa domenica!

+p. Antonio, Vescovo.

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Il bene più grande

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31 Luglio - XXI Domenica del Tempo Ordinario

“Fatevi un tesoro inesauribile nei cieli”, dice il Signore. (Lc 12,33)

Nel pieno dell’estate il Vangelo ci propone il brano nel quale Gesù è interpellato a dirimere una questione di eredità. Uno della folla si rivolge a lui per ottenere giustizia. Uno dei tanti casi nei quali l’attaccamento ai beni terreni ha offuscato anche i legami più intimi, quello tra fratelli. Non c’è spazio per il benevolo accordo, c’è bisogno di una sentenza che ristabilisca la giustizia. Come in altre circostanze Gesù si sottrae e prende lo spunto per offrire un insegnamento che, vedendo i risultati, ha sortito effetti pressoché inesistenti nella comunità dei credenti.

I beni e il danaro hanno sempre causato difficoltà, in ogni famiglia e spesso anche nel rapporto tra amici si possono verificare questi problemi di rapporto che nascono da un insano attaccamento a quanto si possiede. Non si è in grado di essere ragionevoli, l’eredità va divisa in parti uguali, anche se poi conosco che mio fratello ha più bisogno di me. A soffrirne sono gli anziani genitori che hanno speso la vita per consegnare alcune sicurezze che poi diventano causa di odio, disprezzo e risentimento.

Gesù mette in chiaro un aspetto che spesso dimentichiamo: la vita non dipende da ciò che si possiede! E non ci vuole certamente un acume raffinato per capirlo. Eppure si continua a far finta che si è eterni, credendo che ciò che possediamo sarà per sempre nostro. Non solo qui, ma anche altrove Gesù ha parole dure contro chi non riesce a riscattarsi dalla smania del possesso. Gesù esalta la povertà, lui stesso vive dignitosamente senza pretendere troppo, tant’è che quando si incontra qualcuno che se la passa male lo chiamiamo “povero Cristo”; eppure mai egli ha detto che la ricchezza è sinonimo di sporcizia… tutt’al più è pericolosa, drammaticamente pericolosa. In questo senso il discepolo è chiamato a fare delle scelte ben precise, che non lascino spazio a fraintendimenti; deve cioè scegliere in chi porre la sua fiducia e la sua salvezza, se in Dio o nelle ricchezze. L’avidità miete sempre più vittime per il semplice fatto che le ricchezze, con molta rapidità, passano dalle mani al cuore, occupando il posto che, nella vita del cristiano, è di Dio.

L’uomo della parabola non è cattivo, è un uomo onesto che lavora e che raccoglie il frutto delle sue fatiche. Peccato che è proprio in queste ricchezze che pone la sua fiducia, diventano il suo dio. Egli non si preoccupa affatto che la vita non dipenda dai beni materiali; progetta solamente la sua esistenza come se Dio non esistesse.

Anche l’insegnamento di S. Paolo mette in guardia dallo sfrenato desiderio di accumulare beni terreni: L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori (1Tim. 6, 10).

Custodiamo gelosamente Dio nel cuore e non permettiamo che altro prenda il suo posto. Così saremo in grado di donarlo a quanti il Signore pone sul nostro cammino.

Buona e santa domenica!

+p. Antonio, Vescovo.

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La vita tempo di preghiera

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24 Luglio - XX Domenica del Tempo Ordinario

“Chi chiede ottiene, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto”, dice il Signore. (Lc 11,10)

Nel Vangelo di questa domenica è contenuta la richiesta dei discepoli che vogliono imparare a pregare. Essi vedono che Gesù prega, spesso in un luogo solitario, senza chiasso e clamore. Lì egli incontra il Padre, in una relazione singolarissima e particolare, nella quale Gesù arriva a chiamare Dio Abbà, Padre.

Perché pregare? Dio ascolta ciò che gli diciamo? Perché pregare, se troppo spesso Dio sembra sordo alle nostre richieste? Dopo Auschwitz, Birkenau… di fronte alla sofferenza degli innocenti, al martirio dei giusti insorge l’interrogativo di sempre: “Se Dio c’è allora perché c’è tanto male?”.

Umilmente chiediamo anche noi, come i discepoli: Signore, insegnaci a pregare. Perché senza la preghiera la vita cristiana è svuotata di senso, senza la relazione della preghiera Dio lo vediamo come un gerarca assoluto, lontano dalla nostra esperienza umana, sempre più ferita, oltraggiata, violata. La preghiera e l’impegno ad esseri veri cristiani forse non basta, ma certamente è l’inizio di un rinnovato slancio di umanità! È il momento di ribadire con forza che ciò che accade è il triste risultato di un’operazione scellerata del nostro occidente che ha messo da parte Dio, arrivando così all’offesa dell’uomo. Dove non c’è Dio non vi è neanche rispetto della dignità dell’essere umano. Non è la vendetta di Dio, ma la libera decisione di una creatura che crede di poter fare a meno di Lui, che ha perso il suo punto di riferimento, offendendo così la vita umana.

Allora sì che abbiamo bisogno di Dio! Abbiamo bisogno di ristabilire una relazione vera e autentica con Lui. Per questo il Vangelo di oggi viene ad illuminare il nostro tempo attraversato dalla tensione per quello che avviene, mettendoci nel cuore il desiderio di Dio. Signore, insegnaci a pregare. Come Maria di Betania dobbiamo scegliere di stare con il Signore, di soffermarci con Lui, di ascoltare la sua voce, di impegnarci a vivere nella quotidianità ciò che egli ci suggerisce nella preghiera.

Per noi cristiani la preghiera non è un tempo della giornata, né della vita, ma è la vita che si apre alla gioia, all’incontro, all’abbraccio benedicente che si fa preghiera. Preghiera è la beatitudine piena di misericordia che i giovani del mondo intero vivono accolti e sostenuti dalla parola di Papa Francesco a Cracovia. A noi il compito di consolidare questa logica orante della vita, senza la quale la vita non avrebbe né direzione, né senso.

Chiediamo dunque al Signore di farci gustare la vera esperienza della preghiera e il desiderio di farla conoscere e amare.

Buona e santa domenica!

+p. Antonio, Vescovo.

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Apre a Teggiano il Museo Lapidario

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Con il taglio del nastro e la benedizione dei locali, verrà aperto al pubblico, domenica 24 luglio 2016, alle ore 18.30, il nuovo museo di Teggiano: il Lapidario Dianense. Nata da un’idea del Direttore del Museo Diocesano, arch. Marco Ambrogi, la collezione d’arte scultorea è stata realizzata dalla Diocesi di Teggiano-Policastro, con il cofinanziamento della Regione Campania, Settore Musei e Biblioteche.

L’evento, cui prenderanno parte il sindaco di Teggiano, Michele Di Candia, il parroco don Giuseppe Puppo e don Fernando Barra, direttore dell'Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, vedrà gli interventi di Rosa Carafa funzionaria di zona della Soprintendenza ABAP di Salerno e della stessa Soprintendente, Francesca Casule. Alle conclusioni del Vescovo di Teggiano-Policastro, monsignor Antonio De Luca, seguirà una visita guidata al museo ed alla cripta di Santa Venera ed un piccolo rinfresco, offerto dalla Cooperativa Paràdhosis, cui toccherà la gestione del nuovo percorso museale, in aggiunta a quella della collezione diocesana in San Pietro.

Il percorso di visita garantirà la fruizione degli antichi vani dell'ossario e della cappella di Sant'Eligio, musealizzati, con la possibilità di poter visitare anche la suggestiva cripta di Santa Venera ed accedere alla soprastante chiesa di San Michele Arcangelo. Il museo-deposito è stato concepito come un organizzato lapidario, che raccoglie le testimonianze teggianesi storiche d'età classica, medievale, rinascimentale e moderna, pianificate essenzialmente in una sezione romana, una classificazione di capitelli di varia foggia e cronologia, uno stemmario ed il maestoso arco tardo-quattrocentesco dei Malavolta. Questo manufatto litico, di notevole imponenza, fu commissionato per la chiesa di Santa Maria Maggiore a Teggiano, negli anni Ottanta del XV secolo, dalla nobile famiglia dei Malavolta, trapiantata a Diano dalla lontana Siena, per questione di affari. Alla presenza imponente dell'arco fanno da cornice uno stemmario, che raccoglie chiavi d'arco e sculture con impressi gli emblemi di famiglie patrizie locali e di alti prelati ed una collocazione su mensole, nello spazio dell'ossario, di interessanti capitelli medievali e rinascimentali, tra cui spiccano elementi decorativi zoomorfi, antropomorfi e fitomorfi, oltre a due capitelli d'età federiciana. Lo spazio voltato a crociera, un tempo portico d'accesso, è stato dedicato all'arte classica, con l'esposizione di un'iscrizione funeraria che riporta il nome di Tegianum, di un telamone e di una statua acefala, oltre ad alcune imagines maiorum ed altre sculture romane.

Del patrimonio del Lapidario Dianense fanno parte anche una lastra tardo-quattrocentesca con la rappresentazione dello stemma della casata d'Aragona, un leone stiloforo, una scultura di guerriero ed una lastra di tabernacolo, oltre ad un quadrante d'orologio del Settecento.

Un altro tassello storico-artistico si aggiunge al già cospicuo patrimonio monumentale e che la Diocesi di Teggiano-Policastro dona alla città-museo, raddoppiando gli spazi espositivi dedicati all’arte sacra dianense.