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Deceduto don Antonio Cetrangolo

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Il Vescovo Padre Antonio De Luca e il Presbiterio della Diocesi di Teggiano-Policastro, annunciano che è entrato nella luce della Resurrezione don Antonio Cetrangolo e, mentre ne ricordano la passione per la Parola di Dio e il generoso ministero pastorale, lo affidano all'abbraccio misericordioso di Dio.
Le esequie saranno celebrate lunedì 16 maggio alle ore 10:30 nella Parrocchia di Scario (SA).
 
Don Tonino era nato a Roccagloriosa (SA) il 6 gennaio 1966 ed era stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1994 dal Vescovo mons. Bruno Schettino. Grande impegno ha profuso nella pastorale vocazionale e nella formazione dei Seminaristi nei Seminari di Teggiano, di Napoli e di Salerno. Appassionato della pittura e della musica ha prodotto numerose icone e diversi musical e canti. Attualmente era Parroco di Scario, assistente dei Giuristi Cattolici e Vicario Episcopale per l'annuncio e la catechesi.
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Deceduto don Pietro Greco

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Il Vescovo Padre Antonio De Luca e il Presbiterio della Diocesi di Teggiano-Policastro, annunciano che è entrato nella luce della Resurrezione don Pietro Greco e, mentre ne ricordano il generoso ministero intellettuale e pastorale, lo affidano all'abbraccio misericordioso di Dio.
Le esequie saranno celebrate venerdì 13 maggio alle ore 16:30 nella Chiesa Parrocchiale di Casalbuono (SA).
 
Don Pietro era nato a Sanza (SA) il 25 settembre 1948 ed era stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1972.
E' stato Parroco di Casaletto Spartano, Battaglia, Fortino, Ispani, San Cristoforo, Capitello, Policastro Bussentino, Santa Marina, Torre Orsaia, Casalbuono.
Aveva insegnato per diversi anni nelle Scuole Superiori a Sapri.
Per molti anni ha servito la Diocesi di Teggiano-Policastro come Economo.
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Messa Crismale 2022

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Omelia del Vescovo per la Messa Crismale

Il presbitero uomo delle promesse delle stanchezze Gesù Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6).

Cari fratelli e sorelle, la solenne Messa crismale, che stiamo vivendo, è tra le celebrazioni più importanti e significative di una Chiesa diocesana, in cui si manifesta l’unità e la comunione del gregge con il suo Pastore. Questa comunione non è il frutto di un semplice umano impegno morale, volto allo stare bene insieme, uno accanto all’altro, ma è dono dello Spirito Santo, la cui unzione ci rende popolo sacerdotale, nella varietà e diversità dei carismi e dei ministeri. Questo significa che oggi non celebriamo solo il sacerdozio dei presbiteri, che in questa liturgia rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione, ma anche il sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio, ricevuto con l’unzione dello Spirito Santo, attraverso i sacramenti della Chiesa. Gesù è il Cristo, cioè l’Unto, consacrato e rivestito totalmente della potenza dello Spirito di Dio, il quale comunica a tutto il suo corpo mistico, la Chiesa, questa sua unzione sacerdotale. Segno di questa consacrazione è l’olio, elemento lavorato dall’uomo a partire dal frutto dell’olivo, dono di Dio. L’olio crismale, per le unzioni del battesimo, della cresima e dell’ordine sacro, sigilla la nostra appartenenza a Cristo, di cui dobbiamo espandere il buon profumo nel mondo, attraverso la testimonianza della fede, mediante una viva speranza nell’esercizio di una carità operosa. Nei Riti esplicativi, al momento dell’unzione crismale, il celebrante dice: «Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio». E poi, alla consegna del pane e del vino: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Risalta con forza che, per il sacerdote, celebrare ogni giorno la Santa Messa non significa svolgere una funzione rituale, ma compiere una missione che coinvolge interamente e profondamente l’esistenza, in comunione con Cristo risorto che, nella sua Chiesa, continua ad attuare il Sacrificio redentore. Scrive un vescovo «Il sacro crisma che un giorno ha inondato le tue mani non smette di ricordarti che il soave odore di Cristo di cui siamo portatori è la sua santità, che impregna la nostra vita di apostoli. Forse è accaduto che lungo la strada ci siamo lasciati cospargere da altre fragranze più seducenti e gradevoli, ma il giovedì santo anche quest’anno costituisce il memoriale di quell’inizio in cui la gratuita misericordia del Padre ci ha stupito e intimorito chiedendoci di abitare la nostra fragilità, … tu sei: teneramente amato da Dio! Nonostante tutto, nonostante le lentezze e i ripensamenti, nonostante gli smarrimenti e finanche le volte in cui puoi aver inciampato in situazioni di ambiguità, vinto dai tuoi limiti e dalle tue contraddizioni. La fedeltà di Dio non viene sgretolata dalle nostre mancate corrispondenze. Resta la roccia sulla quale continuare ad edificare la nostra casa» (Mons. Beniamino De Palma).

L’olio dei catecumeni, per le unzioni prebattesimali, riveste il cristiano della forza di Dio, per poter ogni giorno lottare per il bene ed espandere sulla terra il Regno di Dio, per “portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; rimettere in libertà gli oppressi” (cfr Lc 4,18). L’olio degli infermi, infine, comunica ai sofferenti la forza guaritrice di Cristo e il sostegno nella prova della malattia. In questa celebrazione tutta la Chiesa rende grazie al Signore per il dono dei sacramenti e per il dono dello Spirito Santo, che ci comunica il sacerdozio di Cristo, segnando la nostra intima appartenenza a Lui. È vero anche che Cristo continua ad agire nel presente, in modo del tutto singolare, attraverso il ministero di coloro che sono stati scelti da Lui e che «mediante l’imposizione delle mani, rende partecipi del suo ministero di salvezza, perché rinnovino nel suo nome il sacrificio redentore e preparino il convito pasquale» (cfr. Prefazio Messa del Crisma). Da quando il Santo Papa Paolo VI ha voluto inserire il rinnovo delle promesse sacerdotali all’interno della Messa del Crisma, questa celebrazione ha assunto quasi la forma di una festa di ringraziamento per il sacerdozio ordinato, la cui istituzione viene commemorata nella Messa in Coena Domini. Tra poco anche i nostri presbiteri saranno interrogati sulla volontà di rinnovare gli impegni assunti il giorno della loro ordinazione sacerdotale. Da quelle domande riusciamo a cogliere alcuni aspetti che caratterizzano il ministero dei sacerdoti.

Il presbitero è uomo delle promesse.
Sono quelle riguardanti gli impegni assunti durante l’ordinazione sacerdotale: essere fedeli cooperatori dei vescovi nel servizio del popolo di Dio e sotto la guida dello Spirito Santo; la predicazione del Vangelo e l’insegnamento della fede cattolica; la santificazione del popolo di Dio con la devota e fedele celebrazione dei misteri di Cristo; la preghiera assidua per il popolo cristiano; l’unione con Cristo mediante l’offerta di sé stessi. Tutti questi impegni sono resi possibili soltanto se il presbitero vive un’autentica unione con Cristo, una salda e profonda spiritualità sacerdotale. Le altre promesse derivano da questo primo e fondamentale aspetto della vita di un sacerdote. Anche l’attività pastorale è conseguente alla vita spirituale: Gesù dedicava molto tempo alla preghiera, al dialogo fecondo ed intenso con il Padre, ricercando la sua volontà, prima di iniziare qualsiasi sua attività pratica. La preghiera stessa è la prima vera attività pastorale del presbitero, il quale non parla e agisce da sé, ma come inviato di Dio Padre, proprio come Gesù. Essendo conforme a Cristo, il prete sperimenta non solo le gioie dell’esperienza pastorale, ma tante volte anche gli stessi insuccessi che Gesù ha dovuto affrontare.

Il presbitero è uomo delle stanchezze.
Si sa che esiste una naturale stanchezza fisica, come l’apostolo Pietro, che passa intere notti a gettare la rete in mare senza prendere nulla, il prete deve fare i conti con l’apparente infruttuosità del suo servizio pastorale: tanta fatica che sembra non produrre alcun risultato. Comincia la stanchezza spirituale. Ed è proprio nei momenti di scoraggiamento che si sperimentano anche le infedeltà a quelle promesse sacerdotali. Dopo aver collezionato varie delusioni, una dietro l’altra, comincia ad allentarsi anche l’impegno nella vita spirituale e, pur mantenendo formalmente il ritmo della preghiera liturgica, viene meno quel dialogo intimo e franco con Dio, che è l’anima della preghiera, generando così il deserto interiore. In questo modo diventa difficile il donarsi agli altri, alla propria comunità, ai confratelli sacerdoti, iniziando un lento e progressivo isolamento. La stanchezza di un presbitero diventa visibile nelle sue assenze, nel suo mutismo, quando viene meno la gioia dell’incontro e cresce una inquietudine interiore fatta di malcontento, critica, e sottile dissenso. Un prete stanco è anche un prete che fugge dallo sguardo, dal saluto, dal dialogo, e dall’incontro, …. È tutto comprensibile. Allora, proprio come l’apostolo Pietro, il prete si chiederà: «Signore, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito, ma cosa ne avremo in cambio?» (cfr Mt 19, 27); ed allora Gesù risponderà con un’altra domanda: «Quando vi ho mandato in missione senza due tuniche, senza mantello, senza pane…, vi è forse mancato qualcosa?». Comprenderemo che anche se non dovessimo trovare accoglienza, se non dovessimo raccogliere i frutti sperati, dopo tanto impegno e sacrificio, la vera e grande ricompensa resterà sempre l’amicizia con Cristo, la consapevolezza di lavorare non soltanto per Lui, ma con Lui. È quanto vuole dire Gesù a Pietro dopo l’insuccesso della pesca: «Prendi il largo e getta le reti» (cfr. Lc 5, 4), cioè scendi in profondità, lavora partendo dalla mia Parola, non confidare troppo su te stesso e le tue risorse, ma in unione con me. Allora anche le visibili stanchezze di un prete potranno avere non il volto della totale disfatta, ma l’accettazione di una imprescindibile umana “incoerenza” che non vuole assolutamente essere ipocrisia, questa sì che è il grande peccato! Tra le stanchezze della vita sacerdotale non ci sono solo le difficoltà legate alle attività pastorali, ma anche la fatica delle relazioni personali, soprattutto quando queste sono ferite e diventa difficile la riconciliazione. Ancora una volta ricordiamo la domanda di Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello?» (cfr. Mt 18, 21). Sappiamo quanto sia difficile perdonare, ma conosciamo anche la gioia liberante della riconciliazione, unica via per rendere sempre più saldi ed autentici i nostri rapporti, soprattutto tra confratelli, per essere davvero segno, sacramento, dell’amore di Cristo. Un cuore riconciliato, che ha sperimentato il perdono di Dio e che sa a sua volta offrire perdono agli altri, è la più genuina e gioiosa testimonianza della presenza di Dio, come ci ricorda l’antico canto offertoriale della Messa in Coena Domini: “Dove la carità è vera, lì c’è Dio”. La carità, la riconciliazione, la comunione sono i presupposti per vivere anche un autentico cammino di sinodalità. Papa Francesco invita tutta la Chiesa a compiere questo percorso mettendoci in ascolto, che è la “forma” della sinodalità. Prima di tutto l’ascolto di Dio che ci parla nella sua Parola, per cui diventa imprescindibile iniziare ogni attività pastorale dalla Parola di Dio, con la stessa prontezza ed obbedienza dell’apostolo Pietro: «sulla tua Parola getterò le reti». Tuttavia il Signore ci parla anche attraverso la Chiesa, attraverso ogni battezzato, attraverso l’altro. «Una comunità ecclesiale che sa ascoltare è in grado di vivere prima di tutto nella dimensione dell’alterità per una vera apertura all’altro. […] La parola dell’altro, alimentata dalla forza propositiva e profetica del Paraclito, ha sempre un volto e l’ascolto diventa relazione quando come comunità sappiamo strutturare relazioni significative in grado di mettere al centro la parola dialogica, sempre aperta al confronto e alla discussione conviviale. Tale è lo stile del battezzato: come discepolo di Cristo sa di essere sempre in suo ascolto, Parola fatta carne» (Orientamenti pastorali 2021/2022, pp. 19-20). Consapevoli di essere Chiesa, Corpo di Cristo unto di Spirito Santo, rinnoviamo con gioiosa disponibilità l’impegno missionario, imparando a camminare insieme, gli uni accanto agli altri, nell’ascolto e nell’accoglienza, per testimoniare l’amore di Dio, vivendo una sincera e profonda comunione, «anche per noi relazioni sane e sinceramente amicali sono indispensabili. A cominciare dalla “famiglia presbiterale” a cui apparteniamo per la sacra ordinazione» (Mons Beniamino De Palma). Solo così il profumo del crisma, segno dell’appartenenza a Cristo, che tra poco riempirà la nostra Cattedrale, potrà davvero raggiungere anche tutte le altre nostre comunità, segno di speranza per un nuovo percorso di evangelizzazione, illuminato dallo Spirito Santo.

Attraverso lo Spirito Santa Maria di Nazareth fu resa Madre di Cristo e madre nostra, la sua instancabile e intrepida vigilanza materna sostenga il cammino di ogni presbitero e della nostra Chiesa diocesana.

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Salmi responsoriali per la Veglia Pasquale

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La solenne Veglia pasquale, in cui viene annunziata la risurrezione del Signore, è caratterizzata da un'ampia liturgia della Parola, in cui si ripercorrono le tappe salienti della storia della salvezza. Attraverso quei brani della Sacra Scrittura, i fedeli fanno memoria delle mirabilia Dei compiute nella storia e che ancora si verificano hic et nunc, mediante l'azione liturgica.

Dopo l'ascolto, sorge quasi spontaneamente il desiderio di rispondere, ringraziando e lodando Dio, per il suo chinarsi verso l'uomo mediante la sua Parola. Questa risposta avviene con i Salmi, perle preziose di preghiera e poesia, attraverso cui la Parola di Dio ascoltata, diventa Parola pregata.

Ma i sentimenti dell'animo umano, sia quelli più gioiosi sia quelli tristi, richiedono una forma comunicativa non ordinaria, come il linguaggio parlato, bensì necessitano di una comunicazione speciale, come il canto. La forma migliore, dunque, di pregare i salmi è cantarli, soprattutto in una liturgia così significativa e solenne, come la veglia pasquale, che Sant'Agostino definiva la "madre di tutte le veglie".

Per queste ragioni abbiamo il piacere di proporre, alle nostre comunità parrocchiali, le melodie dei salmi della veglia di Pasqua, musicate da Salvatore Di Blasi, con l'augurio che la bellezza e l'armonia di queste composizioni musicali, possano aiutare i fedeli a gustare la presenza di Dio tra le note musicali che risuoneranno nella notte santa, in cui si celebra la vittoria di Cristo, luce del mondo, sull'oscurità del male e della morte, invitando tutti a cantare sempre la misericordia infinita di Dio.

Scarica le Melodie dei salmi responsoriali