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Risalire la china

Scritto da Massimo La Corte on .

Ciò che abbiamo vissuto non è stata una passeggiata, né può essere archiviato in una labile memoria del passato. Non è solo un brutto ricordo. Soprattutto la grande emergenza sanitaria, ci ha messo di fronte alle nostre responsabilità ambientali, sociali, educative ed economiche. Si è ribellato tutto ciò che lentamente ma inesorabilmente abbiamo prodotto con un efferato sfruttamento dell’ambiente; invasi dalla cupidigia di possesso e della smania del consumo non ci siamo accorti della china che abbiamo imboccato. Ancora più pericolosa è la graduale lacerazione della fratellanza provocata «dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini» (Abu Dhabi, 2019). Ciò che il contagio e la diffusione del virus hanno evidenziato mostra che la famiglia umana è sottoposta nella sua globalità ad una insidiosa minaccia che riguarda il futuro e la sopravvivenza della vita sulla terra. Ci siamo tutti difesi con protocolli internazionali, oltre che con l’adozione di strumenti anti-contagio, guanti mascherine, utilizzo di gel e di disinfettanti vari. In parte abbiamo fronteggiato la deriva totale. Nelle sabbie mobili, agitarsi non serve, pena l’ulteriore e fatale sprofondamento. Serve invece il lancio di una cima o di un sostegno cui aggrapparsi per essere tirati fuori dalla limacciosa coltre.

Cosi sembra essere rinata la solidarietà, la vicinanza, l’emergere della passione solidale di ragazzi e giovani che hanno espresso la loro singolare umanità accanto agli anziani, alle persone sole, ai malati. Una manifestazione di novità che ha segnato i giorni del tempo sospeso. Non sono mancate le vicinanze istituzionali, e tuttavia la risalita non si costruisce solo con l’erogazione di fondi straordinari, neanche con il perfezionamento di algoritmi sempre più minuziosi e precisi, vero delirio tecnocratico. Sono insufficienti anche le reali ipotesi di riconversione di grandi aree urbane e il consolidamento di strutture sanitarie meglio articolate e più capillari. Tutto questo serve tantissimo, ma non può bastare. Ciò che può dare vigore alla risalita è una forza sovrumana attinta alla consapevolezza della fratellanza universale, all’abbattimento del diffuso virus dell’indifferenza globale, l’abbandono della produzione di materiale bellico costosissimo e micidiale che produce solo morte e distruzione, ma anche un profitto vile e iniquo.

Tutti siamo in attesa di un vaccino per debellare per sempre il letale virus covid-19, ma esistono altre urgenze che richiamano l’attenzione all’impegno per la giustizia, l’accoglienza e l’integrazione dei soggetti fragili e vulnerabili della società, l’ascolto del grido della terra e di coloro che sono le prime vittime delle crisi socio-ambientali. La sovraesposizione sociale di molti immigrati, dei quali ci siamo ricordati per la necessaria manovalanza nella filiera agro-alimentare, richiede l’accompagnamento di un sussulto di umanità e di rispetto per la comune dignità che tutti ci rende fratelli. Possiamo metterci sulla via del superamento della crisi sanitaria in atto, e non ancora debellata del tutto, non con l’intento di rifare le cose come prima. Bisogna recuperare la gioia del servizio, nell’educazione, nella sanità, nella tutela della vita degli anziani, nell’accompagnare i giovani verso una nuova visione dell’economia, del lavoro e della politica.

Per noi cristiani poi è necessario riconoscere che siamo stati sottoposti ad una forzata cura dimagrante, molte futilità sono decadute e sta emergendo un volto di chiesa attenta ai cambiamenti, capace di servizio, non amante del presenzialismo, sensibile alle famiglie che finalmente si sono ritrovate insieme a pregare, ad attendere un contatto con la comunità ecclesiale e la condivisone della gioia delle cose semplici. In questo Papa Francesco ci ricorda che nessuno deve essere lasciato indietro, nessuno può essere dimenticato, «non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno… solo così ricostruiremo un mondo nuovo”.

La preoccupazione del Covid-19 sembra aver fatto dimenticare l’ingiustizia e la guerre, tuttavia è incrementato il numero dei rifugiati, circa 80 milioni, «troppi di noi credono di vivere in una cittadella di precario benessere sottoposta all’assedio di torme di diseredati. Pensano di essere costretti a sforzi di accoglienza insostenibili. Immaginano che il diritto di asilo sia un grimaldello per forzare i cancelli dei nostri piccoli o grandi privilegi» (M. Ambrosini). Finche non smascheriamo gli egoismi collettivi e le miopie personali, non saremo mai in grado di intraprendere con coraggio la risalita e ogni tentativo non potrà che risultare fallimentare se non è contraddistinto da una visione fatta di inclusione, di globalità e di integrazione. O ci salviamo insieme o non si salva nessuno.

+ P. Antonio De Luca