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Dal tradimento al dono

Scritto da Massimo La Corte on .

«Nella notte in cui fu tradito…», queste parole suonano familiari, quasi abitudinarie, ai frequentatori delle nostre liturgie. Non si tratta solo di un’indicazione cronologica, ma rivelano una modalità d’esistere che diventa paradigma per i discepoli di allora e di sempre. Suonano anche come un’allerta, là dove il buio di attese ambigue e relazioni squilibrate oscura lo splendore della verità, insorge sempre il rischio di un pericoloso tradimento.

Sono le parole che proferisce Gesù nell’ultima cena, sono il preludio di un testamento e di un memoriale. Nella sala del cenacolo, tra gesti inconsueti come il lavare i piedi, e volti attoniti e sorpresi, si consuma uno dei più grandi paradossi del Vangelo, il tradimento che si fa veicolo di consegna e di dono. Solo una logica Divina può generare questo orizzonte. In tutti i paradossi che Gesù presenta nel Vangelo è chiara la volontà di demolire la banalità di un’immagine di Dio che non salva e la stortura di una sequela che appare più un calcolo che una generosa adesione. La ferita di un tradimento immeritato si trasforma nel paradossale dono “per voi e per tutti” che nell’Eucaristia diventa anche “per sempre”.

L’esperienza del tradimento, ma anche la percezione di un ipotetico raggiro, sfiora, prima o poi, tutti. Ci si sente traditi dagli amici, dai colleghi di lavoro, ci si può sentire traditi anche negli affetti e nei legami; addirittura dalla vita potremmo sentirci ingannati. Il tradimento è sempre una cocente delusione e porta con sé un’amarezza indicibile. Quando il tradimento giunge come epilogo, nonostante l’impegno generoso e sincero, può determina il senso della vendetta, della ritorsione. Il tradimento apre ferite spesso insanabili, la memoria resta segnata per sempre. Non poche volte il tradimento stabilisce limiti relazionali e tatticismi ispirati dalla delusione e dalla paura. Il tradimento paralizza il cuore, blocca la generosità e non consente alla spontaneità di germogliare. Tutto è eccessivamente misurato pur di non ricadere in situazioni di rinnovata sofferenza. Eppure in tutte le liturgie della Chiesa, sugli artistici e sontuosi altari, nella solennità di divine liturgia, ma anche nei più sperduti e reconditi oratori del pianeta, quando si pronunciano le parole "Nella notte in cui fu tradito...", si apre uno scenario di croce e di redenzione, universale, inclusivo, eterno e generativo. Solo Dio può concepire tanto. Il tradimento del cenacolo diventa dono per tutta l’umanità. Dio non si vendica, non tace, non si ritrae, anzi si dona e diffonde salvezza.

Ma chi tradisce quella notte? I vangeli raccontano l’evento, ma inquietanti sono gli interrogativi che nascono sulle altre implicanze e le altre responsabilità, perché “arriva un momento in cui il silenzio è tradimento” (Martin Luther King). Tutti, con i nostri silenzi con gradualità differenti possiamo contribuire a perpetrare i più atroci tradimenti della storia.

Nella consapevolezza del tradimento il Figlio di Dio benedetto non si blocca, non si lascia intimidire né dalla paura né dalla rivalsa, risponde con una oblatività incommensurabile, trasfigura il tradimento in dono: "prendete mangiate il mio corpo". Il tradimento si fa consegna di amore, resa, disponibilità. Dare il corpo non è cosa da poco, esso è il respiro, il passo, il battito del cuore, libertà, assimilazione in dignità. Umanamente appropriarsi di un corpo, al di fuori dell’amore, è sempre delittuosa presunzione e peccaminoso sfruttamento. I corpi sono particole intoccabili, sono immagini del Divino, reliquie del mistero. Ogni superficiale dimenticanza grida vendetta al cospetto della storia, benché distratta, e inoltre non sfugge a Dio. Corpi violati dall’accecamento umano, dalla bramosia del possesso, dalla mai appagata ingordigia del guadagno di chi s’illude di metter un prezzo ed un guadagno illudendosi di comprare amore, dignità, e lavoro. Così si tradisce l’umanità e l’icona di divino in essa impressa!

L’evento più tragico della storia dell’umanità, quello del Golgota, il corpo martoriato di Cristo, attraverso l’Eucaristia viene ridonato e offerto per amore all’uomo viandante e pellegrino, al deluso e al peccatore, al dotto e all’umile, «…O res mirabilis: manducat Dominum pauper, servus et humilis» (grande meraviglia! il servo, il povero e l’umile mangiano il Signore). Come ricorda Papa Francesco «l'Eucarestia non è un premio per i buoni, è una medicina per i deboli». Da un tradimento umanamente inspiegabile scaturisce un dono dal valore incalcolabile, al cui contatto si sperimenta una effusione di grazia, un conforto e un sostegno alla umana fragilità. Dinanzi all'Eucaristia, un antico inno (Adoro Te devote) ci fa pregare: “credendo e confessando (nella divinità e nell’umanità) chiedo ciò che domandò il ladrone penitente”, la salvezza, il desiderio ardente di novità e la certezza di futuro. Comprendiamo perché “senza l’Eucarestia non possiamo vivere”.

+ P. Antonio De Luca