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Ricominciare con affanno

Scritto da Massimo La Corte on .

Dopo le forzate chiusure, finalmente anche se con esitazione e tanta perplessità, bisogna ripartire. È necessario ricominciare con nuovo entusiasmo, con nuova sensibilità. Non si tratta di ripartire dal punto dove avevamo interrotto, la crisi socio-sanitaria mondiale ci ha lentamente addomesticati. Ci ha ricondotti nei limiti di una fragilità diffusa della quale fino ad oggi ci eravamo illusi di essere immuni. Invece no! Ecco la prima risorsa che ci aiuta a rialzarci, la consapevolezza che siamo vulnerabili, ed inoltre abbiamo anche compreso che non ci sarà mai consentito di stare bene e di vivere sani se continuiamo a fare scelte che ammalano il pianeta.

Una risorsa spirituale che non possiamo ignorare è l’annullamento delle barriere. Il virus non ha rispettato i confini geografici, invisibile, minaccioso si è mosso sulle latitudini planetarie con preoccupante rapidità. Non ha fatto distinzioni di razze e di popoli. Ha colpito tutti, dunque siamo legati da un unico destino di benessere o di fallimento e tutto si presenta irriducibilmente connesso: la sanità, l’economia, l’educazione, la politica, la custodia dell’ambiente, le migrazioni dei popoli. Tutto è connesso! Avere questa consapevolezza ci proietta verso responsabilità globalizzate e condivise.

Nella triste esperienza della pandemia mondiale è venuta fuori una fioritura di volontariato e di servizi che hanno impresso il marchio della vera umanità negli ospedali, nelle case di riposo, all’indomani di tristi esperienze di morte, vi è stata la mobilitazione generale per offrire ai malati, alle persone sole, ai morenti l’esperienza di un umanesimo cristiano che mai smette di indicare il divino ed il trascendente. È vero, nella solitudine del distanziamento sociale abbiamo imparato a viaggiare sui canali social, ma abbiamo anche compreso che essi possono costituire una soluzione sostitutiva e temporanea, abbiamo bisogno delle relazioni concrete, visive, abbiamo bisogno di un abbraccio, una stretta di mano, di un sorriso, oggi tristemente velato dalla presenza di una mascherina. Ottimo ritrovato precauzionale, ma chi non l’ha avvertito almeno per un momento come pesante macigno o dolorosissimo colpo subìto!

La forzata inoperosità ci ha spinto anche a mettere ordine non solo nelle carte e nelle cianfrusaglie accantonate nel fondo dei nostri cassetti. Il vero ordine ha riguardato la vita, la coscienza, il posto di Dio, la riflessione sulla vita e sulla morte e, soprattutto, sul compito che incombe su ciascuno di costruire relazioni vere e autentiche, improntate all’accoglienza e al rispetto vicendevole. Nella crisi abbiamo avvertito l’urgenza della solidarietà e delle scelte decisive per i valori e per le opzioni che veramente contano al di là di effimeri miraggi e di velleitarie conquiste. Esistono beni che non hanno prezzo e che non possono essere acquistati se non a caro prezzo di rinunce, sacrifici e lavorio diuturno.

Dinanzi a noi si è spalancata la finestra di una mondialità ferita e malata. Con il nervo scoperto della corsa agli armamenti e la sussistenza di una economia che uccide. Una famiglia umana che deve riscoprire i legami ormai ineludibili di una planetarietà che salva o distrugge tutti. Una sfida nella quale dobbiamo assolutamente sentirci coinvolti con il discernimento sui paradigmi tecnocratici che hanno illuso l’uomo di essere capace di tutto e di realizzare ogni forma di capricciosa conquista anche quando questa non solo non rientra nei parametri del vero sviluppo, ma addirittura lo contraddice e lo annulla.

Ripartiremo con la consapevolezza che non possiamo fare a meno del lavoro e delle collaborazioni di uomini e donne impiegati nella filiera agroalimentare, nel settore dell’assistenza ai nostri anziani e malati. Li abbiamo nelle nostre case, nelle nostre aziende eppure li definiamo ancora clandestini. Essi meritano rispetto e riconoscimento dei diritti, solo così sarà possibile anche per loro monitorare la sanità, organizzare le rimesse verso i paesi di provenienza e quello che più conta, sottrarre questi lavoratori ad iniqui e squallidi mercati sui quali incombe l’ombra di organizzazioni malavitose.

Serve una nuova alleanza con la madre terra. La conversione ecologica, tanto invocata da Papa Francesco, attende ancora significativi riscontri, si tratta di rinunciare ai profitti vantaggiosi che si costruiscono a scapito di minoranze e nello sfruttamento di un lavoro mal pagato e non sempre rispettoso delle necessarie cautele ambientali. I giganti di una economia di profitto e di interessi non ridistribuiti continuano a produrre tracciati di fame e di morte. «Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente», queste parole di Papa Francesco ci sono di aiuto a comprendere che, per ripartire veramente, dobbiamo lasciarci alle spalle l’egoismo e l’indifferenza che uccide. Ripartire sì, ma con la consapevolezza che abbiamo bisogno di nuovi orizzonti.

+ p. Antonio De Luca