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Capaci di Dio, cioè umili

Scritto da Massimo La Corte on .

Palare di umiltà è rischioso, significa consegnarsi ad un anacronismo concettuale. Siamo nella cultura dell’immagine, della brillantezza delle ascese e gli arrampicatori sociali sono quelli che seducono e si affermano. Nella vita la prima lezione è quella di imparare a sgomitare per farsi strada. Non importa come, l’importante è riuscire, anche a costo di calpestare gli altri. Spesso l’umiltà è concepita come sterile remissione, insignificante passo indietro, o accettazione supina di eventi e di relazioni altrimenti insostenibili. L’umiltà la si identifica la con rassegnazione e la inerme reazione, da incapaci a umili, il passo è breve! In realtà già la parola umile affonda le sue radici nel concetto di humus, cioè terreno ottimo nel quale rifioriscono e germogliano i migliori semi. Ed indica anche la comune generazione di ogni essere umano, veniamo dalla terra. Ecco il primo grande livello dell’umiltà la consapevolezza di essere portatori di grande passione e di ricerca sincera di verità, nonostante la condizione di comune fragilità. L’umiltà è un vivaio di umanità.

La grandezza di un uomo consiste nella mite ricerca della verità che sempre ci rigenera «nell’umiltà intellettuale di fronte al supremo» (A. J. Hescel). Siamo circondati da codici comportamentali che si esprimono in formalismi, cerimoniali, con l’esaltazione delle procedure, ma spesso cadiamo nella cultura delle maschere che non possono reggere di fronte ai grandi impegni della solidarietà, dell’inclusione, delle relazioni educative autorevoli e generative.

L’umiltà non costruisce apparati di facciata, né di buon senso, ma di profonda consapevolezza di essere destinati ad una umanità che aspetta il nostro impegno. Ecco l’umiltà è consapevolezza di ciò che si è chiamati da essere nel progetto di Dio. Tradisce l’umiltà chi la sceglie come astuta strategia, essa invece è una vita teologale con lo sguardo fisso sul Figlio di Dio che si è incarnato per noi, ed ha scelto la croce. Talvolta anche una forma di umiltà erroneamente compresa può generare disimpegno e rinvii di fronte a compiti e responsabilità che vanno energicamente affrontati. Ci si sente sempre costantemente indegni e impreparati! Così compresa l’umiltà indebolisce e non rafforza. Il vero senso dell’umiltà ci apre alla prospettiva di accogliere Dio, e di generare l’amore che viene richiesto, l’umiltà ci rende esseri “capaci di Dio” (capax Dei). L’ingresso nel regno di Dio non sarà determinato dalla brillantezza di iniziative umanitarie, intellettuali, né da proclamazioni di principi nobilissimi, piuttosto sarà la silenziosa ed umile fedeltà ad un compito e ad una missione. Papa Francesco ci ricorda che “l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti” (Evangelii Gaudium 288). La coscienza della propria responsabilità genera l’umiltà.

+ p. Antonio De Luca