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Ciò che dobbiamo recuperare

Scritto da Massimo La Corte on .

Il volume “La scommessa cattolica”, realizzato da due valenti pensatori con il taglio antropologico e sociologico, docenti che contribuiscono notevolmente al dibattito nell’ambito culturale occidentale, riporta in copertina, oltre il titolo, un interrogativo pensoso: «C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?». La risposta, dopo una riflessione articolata, profonda, realista, sofferta, onesta e schietta, arriva nelle ultime quattro righe del testo: «un compito entusiasmante ci attende, dunque, al quale tutti, ma proprio tutti, possiamo dare un contributo. Il compito di tornare all’intero come relazione vitale, dinamica e plurale. Un compito cattolico». Uno studio avvincente. Un appello attualissimo che se si deve tradurre in compito e missione non può che ripartire, non da dove avevamo lasciato prima del coronavirus, ma da ciò che sorregge in maniera strutturale la presenza cristiana nel mondo: rispondere a quell’appello che ci induce a trasformare il Vangelo in cultura ed animare la cultura con il Vangelo.

In primo luogo è necessario collaborare ad una ricomposizione dei saperi, sottraendoli alla frammentazione che genera anche conflittualità e scontro. Talvolta le sfide diventano contradditorie e sembrano persino smentirsi: la passione per le conquiste scientifiche per la vita, la ricerca sulla qualità e la difesa dell’esistere, la battaglia per i diritti fondamentali, deve fare i conti con l’isolamento degli indifesi, la noncuranza per la diffusa cultura abortista, il proliferare della povertà, lo sbilanciamento economico verso l’industria bellica e l’accaparramento di risorse nei paesi più poveri. Le multinazionali si appropriano delle immense distese di terra e anche delle persone che le abitano. Una ricomposizione dei saperi crea una dialettica di crescita e di vicendevole arricchimento nel rispetto di tutti. E nel sostegno di un’etica globale e condivisa.

Bisogna ristabilire il giusto equilibrio tra natura e cultura, nel rispetto di un sano principio di libertà che non può determinare arbitrio ed esaltazione di autodeterminazione. La natura ha regole e percorsi che la cultura non può manomettere ma solo incanalare, aiutare, senza alterare o rinnegare. L’esaltazione del diritto positivo, a scapito della legge naturale, determina un vuoto di orientamento e innesca una visione individualista della persona. Da un lato c’è l’esaltazione idolatrica della privacy, ma allo steso tempo in maniera pigra, pur di usufruire della gratuità di una app, acconsentiamo sbrigativamente all’utilizzo dei nostri dati, e il social cosi ci scheda, predefinisce opzioni, orientamenti, idee. Il Regolamento per il trattamento dei dati personali, viene legalmente disatteso con le nostre carte di credito, le tessere di fedeltà ai distributori di carburante, alla compagnia aerea, al supermercato. È già praticata in alcune nazioni la geolocalizzazione attraverso smartphone per arginare il contagio da covid-19, ma servirà solo a questo?

Nell’insorgere della robotica, è necessario ricomporre l’umano, ricomprenderlo alla luce delle fondamentali facoltà che solo alla persona libera è dato di avere: opzioni, sentimenti, responsabilità, decisioni ed emozioni, che esulano dalla competenza degli algoritmi, che per quanto impeccabili nella sommatoria di dati e delle impressionanti anticipazioni sui dati sociali, medici, economici, perciò indispensabili e preziosissimi, tuttavia non possono debellare e neanche indebolire la centralità della persona. Di fronte alle inquietanti situazioni del nostro tempo perché non aprirsi al mistero e ricominciare ponendoci sostanziali e decisive domande? Diceva il non credente G. Gaber: «Mi piacciono i cattolici perché si fanno ancora delle domande».

+ p. Antonio De Luca