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Educare tra passione e stanchezza

Scritto da Massimo La Corte on .

Educare rientra in quell’arte di amare che spinge a prenderci cura dell’altro, dei figli, del prossimo. La cura è una delle cifre fondamentali dell’essere umano che, in una dimensione generativa, permette all’altro di essere sé stesso, perché sostenuto, incoraggiato e custodito. La passione nell’educare, se costruita sulla reciprocità, genera una dinamica di crescita che aiuta a cercare la bellezza, a inseguire la passione per il bene, la giustizia, la custodia e il rispetto della natura. Essa impara anche a sognare, sebbene il clima di eccedenza del ‘tutto e subito’, che investe i nostri ragazzi e giovani, li trasferisce spesso nella terra arida del vuoto.

Siamo davanti a «una generazione che non conosce i sogni perché non sono state insegnate le passioni», afferma il noto psichiatra e sociologo M. Recalcati. Occorre riconoscerlo, viviamo un tempo di stanchezza educativa che trova sempre più soggetti dimissionari, inclini a perpetrare inconsapevolmente il divorzio tra istruzione ed educazione. Questo è uno dei pericoli peggiori, poiché si educa istruendo e si istruisce educando.

Educare significa puntare dritto al cuore, suscitare il desiderio, innestare aspirazioni elevate. Le nozioni hanno senso solo dopo le relazioni, che rendono tutti più umanamente maturi. Oggi più che mai, educare è una disciplina estremamente impegnativa, perché sottopone ad una costante verifica e al giudizio impietoso di ragazzi e giovani, figli, nipoti, che recriminano coerenza e credibilità. Solo con esse è possibile interagire, ricercare motivazioni e arrivare a condividere anche dei dolorosi “no!”. Non si tratta di metter paletti, quanto di alimentare un sano discernimento delle motivazioni che ci determinano e di ciò che veramente si desidera.Quando si educa il desiderio, si educa tutta la persona. Rallegra che si sia gradualmente attenuata l’ansia che faceva parlare di sfida educativa, generando implicitamente l’idea dello scontro o di una lotta tra avversari.

Mi piace percepire la bellezza di questa avventura dell’educazione che aiuta a mettersi in gioco, senza intimorire o scoraggiare per l’eccesso di responsabilità che essa comporta. Educare è sì impegnativo, e non dipende solo da tecniche, professionalità o didattica, ma è prima di tutto un atto di amore.

Un giornalista scrive «educare è la prima virtù del credere» e in questo umanesimo quotidiano rappresenta una comune consapevolezza da rafforzare. Essa ci fa mendicanti del cielo, genera un desiderio di infinito e l’apertura verso l’Assoluto, facendo attingere vigore per realizzare le speranze possibili.

Con la mia preghiera vi benedico.

+ p. Antonio De Luca