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Il limite e ciò che ci fa essere

Scritto da Massimo La Corte on .

Qualcosa andava meglio compreso e anticipatamente arrestato: è questa la considerazione che viene riflettendo sulla dolorosa battaglia al covid-19. Anche in questa circostanza, in fondo, è mancata la consapevolezza del limite. Nell’incontrollabile corsa del progresso e del profitto si è creduto di poter valicare i limiti umani, ambientali, relazionali, compresi quelli religiosi ed etici.

Gli antichi avevano scolpito un imperativo religioso sulle colonne d’Ercole: non andare oltre (nec plus ultra)! Oltre c’era l’incognito, con l’oscura possibilità di un non ritorno. Il delirio di onnipotenza era considerato un oltraggio alla divinità, di fronte alla quale l’esser umano non poteva che avere soggezione, paura, timore di vendetta e rappresaglia. È quella un’antropologia menomata, una vera deriva di umanità. La modernità occidentale, invece, ha compreso il limite come segno di spaventosa incompletezza, di incomprensibile condizionamento, reagendo di fronte ad esso con la smania dell’eccesso, dell’incontrollato, della dismisura. Più si valica il limite più si prova l’ebrezza dell’inarrestabile, del “tutto ad ogni costo”.

Ossessionati del trionfo della riuscita, abbiamo circondato di insopportabile sospetto il senso del limite, confinandolo nella categoria del decadimento. Le regole sovvertite o ignorate, i contenuti confusi: il bene è ridotto all’“utile”, la verità a empirica razionalità, la bellezza a effimero godimento, l’altro ad un oggetto utilizzabile.

Una fanciullesca ansia da prestazione scolastica, lavorativa, sportiva, ha compromesso i progetti di vita, cancellando la pacatezza di un decisivo passaggio verso la maturità, che consiste proprio nell’accettazione di “quello che manca”.

Il limite non lo si ignora, ma lo si attraversa con dignità. Il limite non ci sfigura, anzi ci connota autenticamente in quanto esseri bisognosi di alterità e di superamento. Occorre ricominciare, rimettersi in gioco con un sapere che si confronta con saggezza e umiltà, dissimulando la presunzione di chi, esiliando Dio, ha anche eclissato l’esperienza fondamentale del limite.

Si è resa estranea la “sapienza della finitezza”, inneggiando ad una grandezza miseramente fuorviata. Solo in compagnia del limite potremo esser più umani. Una relazione che prende in conto il limite, con Dio, con il prossimo, con la terra, è l’unica che può ispirare in noi un singolare cammino di fede, nella coscienza che, come afferma il filosofo Remo Bodeo, «come una porta verso cui sento non di potermi spingere oltre, ben sapendo che qualcosa mi sfugge».

A noi invece sembra giusto varcare quella soglia della fede, ci aiuta a comprendere noi stessi e Dio e il prossimo.

Con rinnovato entusiasmo vi abbraccio e benedico in Gesù Redentore. 

+ p. Antonio De Luca