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Comunicare è sperare

Scritto da Massimo La Corte on .

Siamo nell’era della comunicazione, un prodigio tecnologico che si quantifica intorno a 23 miliardi di dispositivi connessi dai quali, ogni minuto, partono 187 milioni di mail, 38 milioni di WhatsApp e oltre 90mila visualizzazioni della propria pagina Facebook. In questi giorni di quarantena, poi, la rete è stata esposta ad un esponenziale sovraccarico, tanto da temerne il collasso.

In tanto traffico di notizie, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme per la diffusione virale di false notizie, in un contagio mediatico di paure e notizie destabilizzanti che generano sfiducia verso istituzioni e organismi sociali. I social, questo strumento meraviglioso, possono diventare mezzo di conflitto e di dipendenza. È ormai un dato di fatto che la rete ci ha immessi in nuove modalità di relazioni, di rapporti e scambi. Si sono eliminate le distanze, gli spazi si sono ravvicinati, i tempi sono omologati, permettendo, in circostanze di eccezionale gravità come quelle attuale, un immediato scambio di informazioni, messaggi e dati in ambito educativo, sanitario, economico e culturale.Questa nuova modalità, tuttavia, ci ha anche condannati ad una dittatura dell’istantaneo.

La comunicazione è sempre un atto generativo di bene, di speranza, di fiducia, anche quando nasce da situazioni di afflizione e di dolorosa condizione. Ogni piccolo click sulla tastiera o ogni parola bisbigliata devono esser finalizzati al prendersi cura, a rafforzare la fiducia. I parolai menzogneri, i banditori di falsità, assetati di effimeri scoop, sono una cancrena nel mondo dell’informazione. Né etica, né professionalità accompagnano questi untori della malattia mediatica, ossessionati esclusivamente di like e di numero di visualizzazioni. Questi terroristi delle chiacchiere seminano sfiducia e raccolgono frustanti ammiccamenti. Per esser presenti significativamente nella rete non basta la competenza tecnica sull’utilizzo di sistemi e di strumenti, servono contenuti, parole, messaggi, soprattutto un supplemento d’anima.

Comunicare è innanzitutto condivisione di un dono (=da cum, condividere e munus, dono), la trasmissione di una dialettica che rispetta la libertà della persona, nella capacità di prendere le distanze da chi semina odio e falsità. Serve il coraggio della responsabilità anche e soprattutto per chi si occupa di comunicazione: «può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla», ammoniva severamente Martin Luther King.

Occorre una tenacia per smentire quell’equivoca rivendicazione della libertà di espressione che non si pone al servizio dell’edificazione del bene comune e del rispetto della persona. Un manuale recentemente in circolazione porta un titolo emblematico: “ Tienilo acceso, posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”. Comunicare, in senso vero e pieno, non può che esser frutto di rettitudine e intelligenza.

Nell’abbraccio della comunione Trinitaria vi benedico.

+ p. Antonio De Luca