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Lasciar andare

Scritto da Massimo La Corte on .

Nella logica generativa, con la quale possiamo/dobbiamo rapportarci agli altri e alla realtà che viviamo, il momento più maturo e decisivo in chiave di reciprocità è il "lasciar andare". Se compreso impropriamente, esso può suggerire l’idea della resa rassegnata, persino il senso di inaccettabile sconfitta.

Le crisi e la maturità che ne deriva ci allenano a nuove conquiste ma, contemporaneamente, ci addomesticano anche ai distacchi dalle stagioni della vita, da sogni e legami. Lasciar andare non è sconfitta o rassegnazione, ma atto di fiducia e consegna responsabile, come quando si lasciano andare i figli al raggiungimento di ideali e di progetti che li riempiano di vitalità. I distacchi costano ma sono necessari. C’è anche un lasciare andare a cui si è indotti da vicende della vita, e l’attuale pandemia è senz’altro una di quelle più tragiche e decisive.

Quale lezione possiamo tirarne da questa stagione tragica? Cosa dobbiamo ancora lasciare dopo l’abbandono forzato della relazionalità, dello spazio libero o dei luoghi sacri? Non nascondiamolo, all’inizio di questa dolorosa storia abbiamo avuto l’ardire di pensare che forse non sarebbe toccato a noi. E che l’impatto ci avrebbe trovati pronti ed organizzati dal punto di vista tecnico e scientifico. Questa crisi ci ha invece disarmato rivelandoci che, nell’epoca della globalizzazione, siamo tutti interconnessi, nel bene e nel male. Questa crisi, che presto passerà, ci ricorda che, dagli affetti ai sentimenti, tutto si esaurisce in un battibaleno. Ci faccia riscoprire la gradualità dei processi, l’umiltà della lenta assimilazione e l’umanizzante ridimensionamento della nostra inquietudine che genera voracità consumistica d’informazione e di beni materiali.

Papa Francesco non perde occasione di sensibilizzare le coscienze ad un salutare distacco dal cosiddetto “paradigma tecnocratico”. Occorre lasciar andare l’idea di un potere senza limiti, di una economia senza il bene comune, di un benessere che produce l’oblio della persona. Oggi soffriamo, ma siamo certi, come ricorda Simone Weil, che «ogni dolore che non distacca è dolore perduto». Nella nostra amara vulnerabilità ci occorre l’abbraccio della solidarietà.

Con la promessa della preghiera.

+ p. Antonio De Luca