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Un solo gregge, un solo pastore

Scritto da Super User on .

22 aprile - IV domenica di Pasqua

“Io sono il buon pastore e offro la vita per le pecore”,
dice il Signore. Alleluia. (Gv 10,14.15)

In un contesto attuale certamente Gesù avrebbe usato un’immagine diversa, più consona alla nostra sensibilità. Non avrebbe parlato di greggi, pastore e pecore per spiegare un atteggiamento di prossimità e di totale donazione per la nostra salvezza. Tuttavia la parabola del buon pastore conserva tutta la freschezza di un insegnamento che non tramonta mai e che affonda le sue radici nel contesto in cui Gesù è vissuto. Niente di meglio che usare questa suggestiva immagine del gregge per narrare la sua disponibilità a donare persino la vita, pur di salvare le sue pecore.

Per entrare meglio nel racconto della parabola dobbiamo mettere da parte l’iconografia che la tradizione ci ha consegnato del buon pastore, spesso sdolcinata e fuorviante. Il pastore di cui ci parla il Vangelo di questa domenica è uno con le vesti e le mani sporche, che affronta rischi e pericoli pur di non lasciare il suo gregge nelle mani di mercenari senza scrupoli. Protegge, cura e soprattutto questa vicinanza con il gregge fa sorgere una conoscenza reciproca tra pastore e pecore, tanto che quest’ultime imparano a riconoscerne la voce.

All’opposto si intravede una figura sinistra, losca, spregiudicata: è l’immagine di colui che tratta il gregge per calcolo, sfruttandone le potenzialità solo in vista del proprio interesse. È il mercenario, il cui unico scopo è accrescere il suo ruolo a scapito del bene del gregge che, in ultima analisi, non è il suo fine primario. Il pericolo allora e la nota tragica del presente brano di Vangelo non è tanto il lupo che viene per uccidere e distruggere, perché è naturale che il lupo si avvicini alle pecore con questo scopo. Drammatico è invece il comportamento del pastore-mercenario che davanti ai lupi scappa per mettere al sicuro la propria vita, lasciando le sue pecore in balia del pericolo.

Il pastore buono non antepone mai nulla al benessere del suo gregge. È pronto a sacrificare tutto, anche sé stesso, purché il gregge si salvi, in un dinamismo di libertà che permette al pastore buono di offrire la vita e di riprenderla di nuovo. In lui, nel buon pastore, si realizza la promessa di Dio: “Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3, 15).

Non è un caso che oggi si preghi per le vocazioni, per le nuove, ma anche per quelle già “stagionate”, che conservano tutta la fragilità di una grande responsabilità affidata a uomini bisognosi continuamente di conversione, di preghiera per ottenere il dono ugualmente grande della perseveranza. Oggi, certo, parlare di perseveranza non è proprio moderno, piuttosto si fa leva sul “per sempre, ma fin quando dura”. La vocazione è una responsabilità che, assunta con vero spirito di servizio e in obbedienza al Signore, produce una gioia incontenibile.

Oggi preghiamo allora per il dono della vocazione ministeriale, certi che il Signore ascolta le nostre invocazioni e doni alla Chiesa pastori secondo il suo cuore, capaci di portare la gioia del Vangelo nel mondo intero.

Buona e santa domenica!

+ P. Antonio, Vescovo