Stampa

Questi è il profeta

Scritto da Massimo La Corte on .

9 aprile - Domenica delle Palme e della Passione del Signore

"Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori" (dal prefazio).

La domenica di Passione ci introduce negli ultimi giorni di vita di Gesù. In poche ore si consuma il dramma della passione, morte e resurrezione del Signore. Noi e il mondo intero guardiamo sbigottiti tutto ciò che accade al Profeta Gesù, riconosciuto tale al momento del suo ingresso nella città di Gerusalemme. Il Profeta che subisce la sorte di tutti gli antichi profeti: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13, 33). Ecco perché Gesù vi entra, nella consapevolezza che la sua vicenda storica sta per concludersi, certamente non nel migliore dei modi.

Il compiersi dei giorni di Gesù riguarda profondamente la nostra fede. Tutta la narrazione della passione del Signore vede il suo culmine nella croce, come punto decisivo dell’opera di salvezza operata da Cristo. Se vogliamo capire a cosa può spingere l’amore, guardiamo la croce! Non vi può essere un amore che vada oltre, che sia così totale, completo, pieno. Noi fatichiamo ad amare, ci stanchiamo subito di amare, spesso l’amore è una chimera che presto scompare. In Dio vi è solo pienezza di amore, che si spinge fino all’offerta di se stesso.

Non vi può essere una croce senza Cristo, senza di lui essa diviene un brutale strumento di sofferenza, di dolore, di morte. Con il Signore ogni croce può trovare un senso ed una direzione perché ognuna delle croci dell’uomo rimane fondamentalmente la sua. Trovano qui senso le parole di Gesù: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt 10, 38-39); «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23).

Il peso della croce non è mai assolutamente nostro, se abbiamo la disponibilità a portarla in compagnia di Dio. Non saremmo in grado da soli di sobbarcarci un tale, gravoso compito. Vi sono alcuni che davanti alla croce provano un senso di ribellione, non vorrebbero caricarsi della croce, appare insopportabile, non ne comprendono il fine, fa paura anche solo vederla. Vi sono poi i discepoli che entrano nel mistero della croce, davanti ad essa tremano, ma hanno nella mente e nel cuore la certezza che mai saranno abbandonati ad un assurdo destino. Non si tratta di amare la croce, sarebbe un sentimento inumano; è questione di entrare nelle pieghe più intime dell’umanità per comprendere che essa è attraversata dal dolore, dalla contraddizione, dalla morte.

Così diventa possibile la croce, perché uno prima di noi si è sottoposto alla ruvidezza di un’assurda condanna. Disponiamoci allora a seguire il Maestro con lo stesso slancio dell’apostolo Tommaso che abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa: «Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Gv 11, 16). L’istinto ci spinge a fuggire, ma siamo certi che l’atteggiamento giusto è quello di rimanere accanto a Gesù, nelle ore più dolorose della sua vita.

Da questa condivisione di vita nasce la certezza che è lui sempre con noi, accanto a noi, disposto ancora una volta a farsi carico della nostra umanità ferita e dolorante. La fede si misura sulla disponibilità a riconoscere nel crocifisso il Figlio di Dio, come il centurione. Ora l’ultima parola rimane a Dio.

Buona e santa Domenica.

+ p. Antonio, Vescovo.