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Gioia nel cielo

Scritto da Massimo La Corte on .

11 Settembre - XXIV Domenica del Tempo Ordinario

“Facciamo festa, perché mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”. (Lc 15,24)

In questa domenica abbiamo ascoltato la narrazione del Vangelo della misericordia racchiuso nelle tre parabole di S. Luca in cui viene narrato l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo: il pastore e la pecora smarrita, la donna che smarrisce la sua moneta, il padre e i suoi due figli. Il criterio d’azione di Dio è la misericordia che riversa abbondante sull’uomo ancor prima che l’uomo si renda conto della sua situazione di peccato e di miseria. Davanti a Gesù ci sono due tipologie di ascoltatori: pubblicani e peccatori lo ascoltavano; scribi e farisei mormoravano contro di lui. A tutti loro Gesù si rivolge con queste parabole il cui protagonista è Dio stesso, racchiuso nell’immagine del pastore, della donna e del padre dei due figli. Dio si manifesta in Gesù che accoglie i peccatori e mangia con loro e questo suo modo d’agire è motivo di tensione con le autorità religiose, che arriveranno ad accusarlo di essere “un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori” (Lc 7, 34). Stare a mensa era espressione di intimità, comunione, amicizia che Gesù dimostra a coloro che erano ai margini della vita sociale e religiosa del suo tempo. Stare a mensa con costoro era ritenuto un gesto di forte rottura a causa delle leggi di purità che vietavano la condivisione della mensa.

A Gesù interessa la persona e con essa cerca di tessere relazioni di prossimità. Ancor prima che questi dimostrino pentimento, egli è pronto ad accoglierli, senza pregiudizi e preclusioni. I peccatori accolgono la proposta di Gesù, lo ascoltano, lo seguono. Scribi e farisei disapprovano questo comportamento e mormorano contro Gesù, scandalizzati e urtati dal suo modo di trattare persone ritenute abbiette, impure, lontane da Dio. Gesù rovescia l’impostazione teologica dei detentori del potere religioso, dimostra che Dio ragiona in modo diverso, e il racconto delle tre parabole ha questo compito di delineare ciò in cui Dio crede, senza lasciare spazio a fraintendimenti. Dio allora è il pastore a cui stanno a cuore tutte le pecore, non solo nel loro insieme, ma una ad una è conosciuta ed amata. Per questo non esita a lasciare il gregge quando si rende conto che una di esse si è perduta. Quella del pastore è una delle immagini più care alla tradizione biblica e alla tradizione profetica: “Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza” (Ez 34, 2-4). Ciò che sorprende non è la preoccupazione del pastore di aver lasciato 99 pecore in balìa di se stesse, ma è la gioia di aver ritrovato l’unica pecora perduta, una gioia condivisa con i vicini e gli amici. È la gioia di Gesù quando vede che pubblicani e peccatori sono aperti ad accogliere la sua parola.

Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15, 7).

Dio non è disposto a lasciare la pecora perduta al suo destino di morte, come la donna non si rassegna alla perdita della sua moneta, ma con ostinazione, “accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova. E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto»”. (Lc 15, 8-9).

Di straordinaria bellezza la parabola del padre misericordioso. Da qualsiasi punto la si guardi, questa parabola ha al suo centro la figura del padre che si staglia nella sua grandezza. Un padre che alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità, che non si oppone alla partenza del più giovane che decide di lasciare la casa paterna, sperperando ciò che egli non ha guadagnato. Il cuore del padre è nel dolore per le conseguenze amare di questo allontanamento. Continua ad attendere il figlio e questa attesa si compie quanto lo vede arrivare da lontano. Una gioia incontenibile riempie la casa, nulla era cambiato, tutto era suo, il padre lo ristabilisce nella dignità con la sua accoglienza e il suo perdono.

Il filo rosso che unisce queste tre parabole è costituito dall’azione di Dio, da ciò che egli compie per mostrare all’uomo che è lui a cercarlo, dai sentimenti che egli prova quando lo ritrova. Il centro è Dio, non l’uomo che da lui si è allontanato. L’attenzione è posta dall’evangelista sulla gratuità di Dio che accoglie sempre e senza limiti l’uomo perduto, è Dio che si mette sulle tracce dell’uomo per ritessere la relazione compromessa dal peccato. Non è lo sforzo dell’uomo a riconquistare la fiducia di Dio, ma è Dio che non ha mai perso la fiducia nella sua creatura. Non è l’impegno morale dell’uomo che riconquista la benevolenza di Dio, ma è Dio che, con tenacia, si mette in ricerca dell’uomo, come il pastore ricerca la sua pecora finché non la trova, come la donna che ritrova la sua moneta, come il padre che ritrova suo figlio.

Buona e santa domenica!

+p. Antonio, Vescovo.