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Vegliate!

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Vegliate! (Lc 21, 36)

«Vegliate in ogni momento pregando…» Lc 21, 36;
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42);
«Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,13).

La liturgia fa risuonare questo imperativo di Gesù soprattutto nel tempo di Avvento. E’ un allenamento spirituale che impone una modalità di attesa della salvezza che prevedendo la vigilanza, vegliare per accogliere, per riconoscere, e discernere.

È un imperativo di Gesù: “Vegliate!” (Lc 21, 36). La parola di Gesù ci libera dall’indifferenza, dall’inerzia, dalla distrazione e ci spinge ad abbandonare i luoghi comuni che spesso tengono prigionieri i nostri sguardi sulla realtà. San Paolo dichiarerà ai cristiani di Roma in una maniera più diretta e, in certo qual modo, più tagliente: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina» (Rm 13, 11).

La raccomandazione di Gesù ha il sapore della predicazione dei profeti, tuttavia con una differenza sostanziale: mentre i profeti richiamavano Israele indicando un evento certo, che sarebbe avvenuto, anche se lontano nel tempo, Gesù invece indica la pienezza dei tempi, in cui non c’era più bisogno di attendere oltre. Con Gesù cambia la prospettiva perché le promesse si realizzano proprio in lui, il regno di Dio, con Gesù, è già entrato nella storia. Si realizza in Gesù Cristo l’avvento di Dio, si rende presente la promessa del regno, si instaura la signoria del Padre. L’attesa è giunta al suo fine! È infatti Gesù che tutta la creazione attende, in lui tutto riprende significato, forza, valore.

Vigilare vegliando è la capacità profetica di leggere nella storia personale e del mondo i segni inequivocabili del passaggio di Dio. Il profeta è l’uomo della parola, anche se sarebbe sbagliato credere che la predicazione profetica passi esclusivamente attraverso l’espressione verbale. Parole, gesti, presenza significativa, persino incapacità a trasmettere immediatamente un significato che sarà chiaro più tardi sono i mezzi di cui il profeta si serve per indicare percorsi che appartengono ad un altro ordine.

L’imperativo di Gesù “Vegliate” è un rinvio alla vocazione profetica di ogni cristiano che indica orizzonti più ampi, apre prospettive inedite perché leggono ed insegnano a leggere la presenza di Dio, a vedere il mondo con gli occhi di Dio. Chi impara a vegliare riesce anche a comunicare la parola profetica, attinge dalla Parola divina il coraggio per vedere, parlare, indicare quanto Dio chiede al suo popolo. Non è magia, non è capacità di scrutare il futuro, non è chiaroveggenza. Colui che veglia sa comunicare la profezia attraverso parole e gesti che nulla hanno a che vedere con la magia, con capacità divinatorie. La parola profetica è l’opposto della parola magica.

Chi impara a vegliare sa riconoscere l’azione di Dio, parla a nome di Dio, comunica una volontà che appartiene a Dio. Il profeta che veglia diventa collaboratore di Dio, dalla sua bocca esce ciò che Dio vuole comunicare, qui ed ora, al popolo che gli appartiene.

Prima di chiederlo all’uomo, è Dio colui che veglia e che insegna a vegliare: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla»” (Ger 1, 11-12). Dio è sempre in un atteggiamento di vigilanza-sollecitudine alla sua Parola, che altro non è che Promessa di salvezza per l’uomo.

Vigilare è dunque un modo per accogliere la vita di Dio in noi. Saper vegliare ci sottrae alla colpevole disattenzione di chi volutamente non vuole chiamare per nome le proprie infedeltà, le derive umanitarie, e il reale disconoscimento dell’amore di Dio che salva.

+ p. Antonio, Vescovo